Mina, Fellini e la forza del destino

di Emmanuel Grossi

La seconda serie di caroselli Barilla del 1966 è una storia di incontri mancati.

L’Azienda era tornata a comunicare nella celebre rubrica televisiva da un anno, dopo lunga assenza (latitava da fine anni Cinquanta, dai tempi di Giorgio Albertazzi e Dario Fo). Un ritorno in grande stile, officiato dalla prestigiosa agenzia CPV: era stata scritturata Mina, al culmine della popolarità e del successo, e dietro la macchina da presa era stato chiamato uno dei più eleganti registi di cinema, Valerio Zurlini. Poi una serie di transizione, probabilmente affidata allo stesso Antonello Falqui che dirigeva Mina nei varietà televisivi (erano gli anni del glorioso Studio Uno). Ma l’Azienda puntava ancora più in alto: voleva Federico Fellini.

Solo pochi mesi prima era uscito nelle sale Giulietta degli spiriti ed era in preparazione Il viaggio di G. Mastorna. Nella mente del Maestro, il protagonista sarebbe dovuto essere Marcello Mastroianni, affiancato proprio da Mina. Ma il Fato spariglia le carte e genera una concatenazione di eventi dagli esiti imprevisti.
Mastroianni alla prima chiamata di Fellini butta subito alle ortiche il contratto teatrale con Garinei e Giovannini, che lo impegnava ogni sera nella faraonica commedia musicale Ciao, Rudy ispirata alla vita di Rodolfo Valentino.
Mina non sente invece ragioni: conclusasi la parentesi giovanile dei musicarelli, ritiene terminata la propria carriera attoriale (farà un unico strappo alla regola proprio di lì a poco, convinta dall’amico regista Duccio Tessari e dalla moglie attrice Lorella De Luca, ma giusto per un cammeo musicale). Fellini continuerà a corteggiarla per anni (torna alla carica anche durante un collegamento dal set di Satyricon nel corso di Canzonissima 1968), ma invano.
Eh già, perché nel frattempo il film viene più e più volte rimandato: incidenti di percorso, problemi di salute, continue modifiche alla trama e al cast… La vicenda si trascinerà fino agli anni Novanta e il lungometraggio non sarà mai messo in produzione. Ma è ormai assodato che alla base di tutto era  lo spettro della morte, che atterriva il superstizioso Federico e che gli era stato agitato dal sensitivo e suo consigliere Gustavo Rol se mai avesse girato il film (che metaforicamente narrava proprio di un viaggio nell’Oltretomba).

In mezzo a questo caos giunge Barilla, che offre su un piatto d’argento la soluzione per coronare il sodalizio tra Mina e Fellini. Ma il regista è (ancora) un purista e rifugge le lusinghe della pubblicità, contro la quale tuonerà anni dopo (con il famoso “Non si interrompe un’emozione”) pur avendo nel frattempo già bell’e capitolato e avendone girate anch’egli (compresi i Rigatoni con cui riallaccia i rapporti con Pietro Barilla).
La partita parrebbe irrimediabilmente persa, quando spunta un asso dalla manica: Piero Gherardi, al tempo scenografo e costumista di fiducia del Maestro. Firmerà lui la serie in assoluto più onirica e “cinematografica” della pubblicità (non solo) italiana, restituendoci le atmosfere del Mastorna in quelli che ne sarebbero dovuti essere i luoghi-simbolo fortemente evocativi: il Palazzo della Civiltà del Lavoro all’EUR, il litorale del Circeo, l’antico acquedotto romano del Serino, particolari scorci delle stazioni ferroviarie e metropolitane di Napoli…