L’orologio dei Pavesini

di Emmanuel Grossi

I Pavesini nascono nel 1948 con la denominazione originaria di “Biscottini di Novara Pavesi”. Ma è solo dieci anni dopo, nel 1958, grazie ad un manifesto pubblicitario del celebre Armando Testa, che esprimono la loro vera potenzialità, ampliando il proprio target di riferimento a consumatori di tutte le età e configurandosi come snack leggeri per spezzare la giornata (anche se a Carosello vengono ancora presentati come prodotti per l’infanzia da una materna Elda Lanza).

Determinante è l’immagine realizzata nel 1960 da Erberto Carboni (già artefice dei successi grafici di Barilla e di tante altre aziende, RAI compresa): un orologio il cui quadrante reca un biscottino ad ogni ora, a conferma che “È sempre l’ora dei Pavesini”.

L’idea viene subito declinata cinematograficamente, rivolgendosi ai cartoonist più bravi dell’epoca, i fratelli Nino e Toni Pagot, che realizzano un film di un paio di minuti diviso in quattro situazioni: in famiglia, a scuola, in treno e allo stadio. Filo conduttore, per certi versi narratore del commercial, è un orologio parlante. Che creerà non pochi problemi ad un giovane musicista affacciatosi da poco alla pubblicità (di cui diverrà grande protagonista): Ario Albertarelli (n. 12 gennaio 1932).

È lui stesso a narrarci le sue disavventure:

Fu un lavoro piuttosto tortuoso. Primo equivoco: l’orologio parlante. Non ebbi indicazioni precise e pensai che dovesse parlare scandendo il tempo. Allora sentii vari attori, venne perfino Alighiero Noschese… E invece scelsero uno che diceva ‘È sempre l’ora dei Pavesini’ tutto di filato. Volevano un orologio che parla come un umano, non “come un orologio”…

Poi ci fu il problema della musica: me la fecero rifare quattro volte! In origine era bella, ma a furia di intervenirci uscì raffazzonata, per niente disinvolta. Avevo composto un tema che in ciascuno dei quattro episodi variava di arrangiamento e di tonalità, molto adatto ai biscotti, con il sassofono che dava l’idea del treno, un batterista bravissimo figlio del direttore d’orchestra Enzo Ceragioli… Ma dovetti rifarla, perché l’ing. Mario Troso, Direttore dell’Ufficio Pubblicità Pavesi, si era impuntato che voleva in sottofondo il rumore di una pendola. A quei tempi succedevano certe follie! Sia lui sia i Pagot partivano dal presupposto che a Milano si potesse trovare tutto e con facilità. Troso mi fece andare da lui in ufficio con un registratore di sette chili e quaranta rumori di orologi, tra sintetici e veri… e non glien’è andato bene uno! Allora cercai nei dischi: non andavano bene nemmeno quelli. Registrare una pendola non è mica facile! Per cominciare: chi ti presta una pendola di valore? E non ne basta mica una! Per fortuna in TTC c’era un assistente montatore, Alberto Moro, che aveva iniziato a raccogliere spezzoni, musica d’epoca… fino a creare una grande cineteca con ogni tipo di materiale di repertorio. E risolsi in quel modo.

Ma questo è solo l’esordio di Albertarelli con Pavesi. Di lì a poco sarebbe infatti iniziata una lunga collaborazione con Marco Biassoni, culminata con i celeberrimi caroselli dei Cavalieri della Tavola Rotonda