C’era una volta… a Carosello

di Emmanuel Grossi

Carosello aveva appena festeggiato il suo primo anno quando Barilla vi fece ingresso. Nonostante il tempo relativamente breve, la rubrica aveva già conquistato il pubblico e regalava soddisfazioni alle pochissime aziende che riuscivano ad accedervi. Certo, l’investimento era esorbitante, tra costi di produzione (salvo eccezioni, ogni filmato andava in onda una e una sola volta), acquisto degli spazi (venduti a peso d’oro dalla SIPRA, la concessionaria pubblicitaria della RAI) e “oneri di sistema” tacitamente imposti dall’Azienda di Stato (compresi nel pacchetto, la ditta inserzionista si ritrovava a pagare spazi in radio, su quotidiani e periodici e nei circuiti cinematografici parimenti gestiti dalla concessionaria)… Ma il gioco valeva la candela, per l’enorme ritorno di immagine e vendite. Tant’è che Barilla prenoterà un anno e mezzo di fila: da aprile 1958 a settembre 1959.

Al tempo i cicli contrattuali erano trimestrali e ognuno prevedeva undici passaggi; la serie d’esordio di Barilla ne occupò due e ciò comportò la realizzazione di una ventina di film. Poiché si scelse di reclamizzare la pastina glutinata per bambini (non erano consentite campagne “corporate”), si pensò di rifarsi all’infanzia anche nella parte cosiddetta spettacolare, allestendo riduzioni di fiabe famose tramandateci da Hans Christian Andersen, Jacob e Wilhelm Grimm e Charles Perrault (ma spesso di derivazione popolare).
Rivisti oggi, a più di sessant’anni di distanza, i cortometraggi appaiono ingenui, ma furono tutt’altro che pauperistici o semplicistici!
A realizzarli è una delle più importanti produzioni del tempo: la milanese Organizzazione Pagot, dei fratelli Nino e Toni Pagot, re degli short cinematografici a cartoni animati che talora si cimentavano nelle riprese dal vero (come queste). A dirigerli è Attilio Giovannini, primo e maggiore studioso del Novecento di pubblicità audiovisiva italiana, che ogni tanto non disdegnava “gettarsi nella mischia” e lavorare come sceneggiatore e/o regista.
Troviamo infatti molti riferimenti “alti”, che riconducono alla grande tradizione dell’illustrazione e del cinema (non solo d’animazione): le scenografie sono disegnate e riproducono antiche stampe e incisioni, gli effetti speciali sono quelli dei film degli esordi: le sovrimpressioni, i sapienti giochi di ottiche e specchi (che permettono ad esempio, in Gli stivali dalle sette leghe, la coabitazione nella medesima inquadratura di un gruppo di bambini e di un orco gigante)…
Notevole anche il cast. Protagonista di molte fiabe (Il violino portentoso, Il gatto dagli stivali…) è Angelo Corti, bravissimo mimo che ritroveremo in tanta pubblicità milanese anni Sessanta-Settanta e come docente dell’Accademia Nazionale di Arte Drammatica di Roma. In altri episodi compaiono invece, appena ventenni, attori formatisi al Piccolo Teatro o al Teatro dei Filodrammatici: parrebbe ad esempio di riconoscere in Bellinda e il mostro e Il principe invisibile Umberto Ceriani, affiancato in Il tappeto magico da Nino Castelnuovo…

Visti i buoni esiti, dopo sei mesi la comunicazione punta più in alto: le fiabe diventano testi letterari e reperti storici e alle giovani promesse del teatro si sostituisce il già affermato Giorgio Albertazzi.