L’Italia dei campanili

di Emmanuel Grossi

Gli anni Settanta possono essere considerati il periodo meno smagliante della storia pubblicitaria di Barilla. L’Azienda era stata ceduta a malincuore dai fratelli Giovanni e Pietro alla multinazionale americana Grace e anche l’Italia non se la passava bene, fra contestazioni senza quartiere, sequestri, stragismo, brigatismo e, su tutt’altri fronti, frodi e sofisticazioni alimentari. Anche Carosello aveva perso la sua spensieratezza e si faceva ogni giorno più anacronistico e opaco. In Azienda, le energie erano assorbite dal lancio di Mulino Bianco e la comunicazione della semola si limitava al piccolo cabotaggio (fatti salvi gli ultimi film con Mina e la piacevole parentesi con Massimo Ranieri).
Col cambio di decennio, tutti i tasselli iniziano a tornare al posto giusto: Pietro Barilla (in solitaria) si ricompra l’Azienda (caso più unico che raro nella storia industriale d’Italia) e progressivamente restituisce alla pasta, anche sul fronte pubblicitario, la centralità che merita.

La nuova agenzia TBWA, con la direzione creativa di Marco Mignani (già artefice del rilancio di Voiello), punta sulla rivalutazione del pranzo (Riscopri il gusto del mezzogiorno) come momento di aggregazione delle famiglie, come gioia dell’incontro dopo una mattinata di studio o lavoro. Sono i primi passi verso la costruzione valoriale della marca, che avrebbe poi trionfato, sotto altre egide, in Dove c’è Barilla, c’è casa.

Per la rubrica Spazio F (che aveva tentato maldestramente di soppiantare Carosello) si pianifica una serie di film da un minuto in cui è di scena la quotidianità della provincia italiana, per tanti versi ancora legata ai ritmi e alle consuetudini della società patriarcale e contadina. Gira Enrico Sannia, il più geniale dei registi pubblicitari italiani, con il suo direttore della fotografia d’elezione, Claudio Collepiccolo. Sovrintende alla lavorazione il producer Stefano Patrizi, che ritroveremo di lì a pochi anni a fare da trait d’union tra Federico Fellini (e il suo entourage) e il produttore Fabrizio Capucci.

Ricorda lo scenografo Giorgio Luppi che, dietro richiesta di Sannia e Capucci, dovette ricostruire in teatro di posa un’ampia porzione di una cittadina: la scuola elementare, le case (interni ed esterni), l’officina, i negozi, la piazza col campanile che batte mezzogiorno tra uno svolazzare di colombe… Tutto realistico e “pronto”, a disposizione per le diverse scene.
È proprio il campanile il fulcro dell’azione: eretto al centro del teatro, entra in tutte le inquadrature, ora ripreso dal basso (quando l’azione si svolge a livello strada), ora da dietro le finestre (quando la macchina da presa è negli interni, ai piani alti degli edifici), ora riflesso nella vetrina del fioraio, ora accanto al gioco di pieni e vuoti, di tetti e balconi che consentono di mostrare contemporaneamente diversi nuclei famigliari, tutti riuniti attorno al desco.
È la cura dei dettagli, la maestria nelle inquadrature, il saper conciliare narrazione cinematografica e centralità del prodotto (concordemente alla strategia comunicativa) a fare grande un regista. E con questa piccola serie Sannia dimostra ancora una volta di essere stato il più grande di tutti.

Dal recupero del valore simbolico del pranzo si passerà poi alla centralità della materia prima con la campagna Al dente, mentre Fellini già si profilava all’orizzonte.