C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico

di Emmanuel Grossi

Gli anni Settanta non furono un periodo facile per l’economia italiana: la crisi petrolifera del 1973 aveva spinto il Governo a varare provvedimenti di forte contenimento energetico che condussero il Paese nella cosiddetta Austerity, la cui onda lunga (unita a una miriade di problemi di varia natura) rese faticoso a tanta parte della popolazione perfino far quadrare il bilancio familiare quotidiano.
Il prezzo calmierato imposto ai generi di prima necessità fece sì che Barilla dirottasse il grosso degli investimenti pubblicitari dalla pasta verso prodotti non interessati dalla normativa. Furono quelli da forno ad assumere un ruolo primario a Carosello (dove avevano esordito nel 1970, nell’ultima serie con Mina). Dapprima si puntò sulle fette biscottate “Natura e basta”, ma già si lavorava ad una linea completamente nuova, che avrebbe segnato profondamente la storia dell’Azienda e i consumi degli Italiani: Mulino Bianco.

Barilla, non avendo esperienze pregresse nel settore, entrò nel mondo biscottiero in punta di piedi e con circospezione. Tutt’intorno, il panorama era ben sconfortante: le altre aziende (compresi i nomi storici) arrancavano e i brand nuovi scomparivano rapidamente dalla scena (la stessa sorte toccherà a tanti lanciati poi, sull’onda del successo del Mulino, che rimase un felice caso isolato).
Lo sguardo si spinse così oltre confine, fino alla Patria della pasticceria più raffinata: l’Inghilterra. Ricorda Gianni Maestri, allora direttore della Divisione Nuovi Prodotti, che ebbe un ruolo-chiave Edward George Maxwell, maestro pasticcere londinese e “tecnologo di solida cultura biscottiera”.
In un primo momento si pensò di rifarsi alla tradizione britannica anche per nomi e confezioni, ma furono provvidenziali gli apporti dell’istituto di ricerca Roland Berger e della Pubblicitari Associati, la boutique creativa fondata da Dario Landò (copywriter), Sergio Mambelli (art director) e Andrea Cardile (responsabile ufficio cinema e regista), che già avevano lavorato per Barilla tempo addietro, quando erano in forze alla McCann Erickson (ad esempio, per i caroselli con Mina dalla Bussola).
Le ricerche di mercato mostrarono infatti che solo il target più alto di consumatori aveva familiarità con la pasticceria inglese. Tutti sentivano invece forte il legame, perfino affettivo, con la tradizione contadina nostrana, fatta di sapori antichi e cibi genuini. E fu in quella direzione che ci si orientò.

L’operazione fu curata nei minimi dettagli: Mambelli ideò e disegnò centinaia di formati di biscotti che, tra decorazioni e forme irregolari, apparissero il più possibile casarecci; al posto delle classiche scatole in latta o dei moderni e funzionali astucci si optò per cartocci che ricordassero i sacchetti del pane; si scelsero ingredienti genuini (uova e latte freschi e non in polvere, panna, miele…), andando talmente in controtendenza (erano gli anni delle sofisticazioni alimentari) che – ricorda Landò – si beccarono una reprimenda dalla RAI, che riteneva ingannevoli le versate di latte e le cadute di tuorli mostrate negli short pubblicitari… ma l’Azienda aveva dalla sua la realtà dei fatti.