La natura in città

di Emmanuel Grossi

Alberto Baccari è l’uomo che non ti aspetti. Soprattutto, che non ti aspetti di vedere dentro l’agenzia Armando Testa di Torino a guida della comunicazione Mulino Bianco. Nell’immaginario collettivo, è il tipico artista anticonformista: una vita sempre in viaggio (soprattutto facendo la spola tra New York e Milano), una mentalità aperta e multiculturale e una caratura professionale stimata all’estero e misconosciuta in patria. Ricorda che in agenzia, rimasta per tanti versi compassatamente sabauda, lo guardavano in tralice, come una scheggia impazzita. Ma era la persona giusta per imprimere una svolta, all’insegna di glamour, modernità e internazionalità, alla pubblicità del Mulino, che rispetto alla smagliante pasta Barilla risentiva ancora di una certa ingenuità provinciale.
A metà anni Ottanta aveva fondato, con il mitico Armando, la filiale newyorkese dell’agenzia. Poi, alla sua morte (avvenuta nel 1992), subentrato il figlio Marco, era tornato freelance. Ma fu proprio Marco, poco più di un anno dopo, a ricercarlo, raggiungerlo negli States e proporgli di pensare alla nuova creatività.
Ricorda Alberto che l’idea che lo mosse fu molto semplice: negli ultimi anni la comunicazione (con la famiglia a Chiusdino) aveva mostrato l’uomo andare verso la natura, seguendo una tendenza la cui portata sociale si sarebbe rivelata più modesta di quanto si fosse presagito. Perché, dunque, non ribaltare il rapporto e mostrare la natura che, se rispettata e valorizzata (anche nell’alimentazione), va incontro all’uomo e lo raggiunge nella sua quotidianità cittadina?
Nasce così La natura in città, la nuova strabiliante campagna che mostra i centri storici di Firenze, Roma e Venezia invasi dal biondo grano, che debutta sugli schermi televisivi e cinematografici nel 1994 e che varrà al Mulino i primi riconoscimenti internazionali, culminati con un Leone di Bronzo all’International Advertising Film Festival di Cannes del 1995.

Certo, mai come stavolta tra il dire e il fare ci fu di mezzo il mare. Anzi, i mari: l’Oceano Atlantico, ripetutamente sorvolato fino al trasferimento di Alberto a Torino; l’Oceano Indiano, da cui arrivava il regista Tarsem (al secolo, Tarsem Dhandwar Singh), sebbene ormai trasferitosi in Occidente, che si entusiasmò a tal punto del progetto da accettare finalmente di lavorare per il mercato italiano; lo Stretto della Manica, più volte valicato per affidare la complicatissima post-produzione alla società leader internazionale, The Mill di Londra; la congiunzione di due oceani, in Sud Africa, dove più avanti si sarebbero girati i campi di grano maturo (fuori stagione, nel nostro emisfero), per integrare le riprese fatte in Italia.

Ricorda Alberto Carloni, al tempo capo ufficio cinema dell’agenzia, che lo shooting durò settimane, per ottenere un risultato perfetto (tutt’altro che scontato, essendo la prima volta che in Italia si usava con tale complessità la tecnica del motion control). Rapidamente accantonata l’ipotesi pauperistica di ricorrere al cartone animato, per rendere più realistica possibile la sovrapposizione dei campi con Piazza Santa Croce, Piazza della Signoria, Ponte Vecchio, il Cortile degli Uffizi e Santa Maria del Fiore (Firenze), Piazza del Pantheon, Piazza di Spagna, Piazza Navona, il Campidoglio, Fontana di Trevi e il Colosseo (Roma), Piazza San Marco, il Ponte dei Sospiri, il Ponte di Rialto e Santa Maria della Salute (Venezia), non bastava replicare con precisione millimetrica inquadrature e movimenti di macchina, ma bisognava anche pianificare l’orario delle riprese affinché nelle scene da comporre il sole battesse con la stessa angolazione…

Ad impreziosire ulteriormente il tutto, una scelta musicale elegantemente nostalgica (altro vezzo di Baccari): Parlami d’amore, Mariù di Vittorio De Sica per Firenze, Quel che non si fa più di Charles Aznavour per Venezia e O mio babbino caro dal Gianni Schicchi di Puccini per Roma. Fu proprio la romanza a far sfiorare il casus belli: ricorda sempre Baccari che lui e Tarsem la volevano cantata da Maria Callas, mentre in Barilla preferivano Renata Tebaldi (oltretutto, di casa a Langhirano e ex-studentessa del Conservatorio di Parma). Alla fine, vennero montate entrambe le versioni, ma per la messa in onda fu Voce d’Angelo a spuntarla sulla Divina…