Fresco di Mulino

di Emmanuel Grossi

La nuova linea di biscotti era prossima al lancio. Da tempo vi lavoravano alacremente i pubblicitari Dario Landò e Sergio Mambelli e vari reparti d’Azienda (marketing, ricerca e sviluppo, la Divisione Nuovi Prodotti di Gianni Maestri…), testando preventivamente ogni ipotesi con puntuali ricerche di mercato condotte dall’istituto Roland Berger (sede milanese, guidata da Mariano Frey).

Se il ricorso alla tradizione biscottiera londinese si era rivelato vincente sul fronte produttivo, non fu altrettanto per nomi e confezioni: i consumatori percepivano come distanti le realtà estere e via via erano tramontate tutte le proposte di derivazione anglosassone, danese e francese. Su una però si era concentrata l’attenzione di Maestri: Moulin Blanc. Sarebbe bastato volgerla in italiano per ancorarsi alla nostra storia rurale. “Il nome Mulino Bianco – racconta egli stesso – sintetizza i valori di natura e tradizione nei due concetti di genuinità e salute: il Mulino rappresenta un modo semplice di fare prodotti di grano come un tempo, evocando nostalgia e un mondo fantastico e irreale; al Bianco si attribuiscono i significati psicologici di purezza, forza e luminosità”.
Oltretutto, in Azienda esisteva già un precedente, quasi una premonizione: un manifesto del 1967 che reclamizzava la farina bianca Barilla con il payoff “Fresca di mulino”.

Entra così in gioco un’altra figura decisiva per il successo del nuovo brand: Giò Rossi, che si dedica alla creazione di logo e packaging triangolandosi efficacemente con Maestri e Mambelli. Anche lui è una vecchia conoscenza dell’Azienda, con cui collabora da un decennio: aveva progettato i primi vasetti di sughi, curato il restyling della Linea Forno e l’immagine dei sacchetti di tortellini…

Ricordava in un’intervista: “Per il marchio mi servii di vecchi cataloghi anteguerra: del 1915, del ’23, dell’Esposizione Universale di Parigi del ’25… Dovevo tracciare sulla carta elementi in grado di richiamare alla memoria profumi e fragranze di momenti felici mitizzati. Dalla nostalgia della mietitura nacque il mazzo di spighe contornato dai fiori di campo. I colori, tenui e acquarellati, dovevano ricordare quei rosa e quegli azzurri utilizzati nelle vecchie cromolitografie per rinforzare gli incarnati e i lineamenti del volto. Mi feci così aiutare da Cesare Trolli, da una vita disegnatore e cromolitografo di confezioni di biscotti: fu lui ad eseguire materialmente il primo marchio del Mulino Bianco”.
Molto particolare anche il processo mentale che condusse alla scelta del giallo come colore-base per le confezioni: “Volevo che ricordasse la tenerezza. La tenerezza la vai a cercare nell’infanzia: il colore della farina lattea, della pasta dei biscotti rubati alla mamma prima che vadano in forno, o dello zabaione. Doveva essere il colore di una sostanza ricca, generosa e affettiva. Mi rifeci dunque a due ricordi cromatici della mia infanzia: uno era il cioccolato bianco, l’altro era uno sciroppo ricostituente che aveva questo colore ed era per me buonissimo: speravo sempre di non stare bene perché così il medico me lo avrebbe fatto prendere. Nacque così quel giallo – teorizzato poi da qualcuno in maniera diversa – che contraddistingue ancor oggi i prodotti del Mulino Bianco”.