Pietro Barilla

Parma, 16 aprile 1913 – Fraore, PR, 16 settembre 1993

«Date da mangiare alle persone quello che dareste ai vostri figli».
Questa frase di Pietro Barilla rispecchia in maniera emblematica i valori fondamentali dell’imprenditore parmigiano. Di carattere aperto e cordiale, ottimista, rigoroso con sé stesso e con gli altri, aveva impostato la sua azione sul rispetto: del prodotto che tanto amava, la pasta; del consumatore; dei collaboratori; della famiglia. Aveva saputo scegliere e circondarsi di uomini e donne di altissima professionalità che contribuirono, sotto la sua guida, al successo della sua azienda. Cosciente di questo, viveva con grande riconoscenza il rapporto con la sua città, Parma, che contribuì a far crescere sia dal punto di vista economico ma, soprattutto, culturale e sociale con una visione lungimirante e proiettata verso il futuro. Un leader carismatico in grado di indicare la strada alle future generazioni: «Tutto è fatto per il futuro. Andate avanti con coraggio», amava ripetere alla sua gente.

Pietro era nato a Parma il 16 aprile 1913, secondogenito di Riccardo Barilla e Virginia Fontana. Dopo aver frequentato il Collegio Maria Luigia a Parma, il Collegio Salesiano di Alassio e quello degli Scolopi a Firenze, nel 1931 si recò a perfezionare gli studi a Calw, in Germania. Nel 1934 aveva iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia nel settore commerciale. Nel 1936, nel ristrutturato piano uffici di viale Veneto, curò l’organizzazione di vendita, degli agenti e dei trasporti. Tre anni dopo la società contava 800 dipendenti, con una produzione giornaliera di 700 quintali di pasta e 150 quintali di pane. Una particolare cura volle dedicare all’immagine dell’azienda. I venditori erano dotati di vetture Topolino gialle: una iniziativa di avanguardia per l’epoca.

Nel 1941 Pietro Barilla fu richiamato alle armi, nel terzo reggimento autieri e inviato sul fronte russo. Rientrato dopo tre anni a Parma fu trasferito a Roma; dopo l’8 settembre 1944 riprese il lavoro in azienda, nel contesto – drammatico – dell’occupazione nazista. Ingiustamente accusato di collaborazionismo e incarcerato, ebbe l’occasione di conoscere il benedettino Padre Paolino Beltrame (1909-2008) che gli fu a fianco nei momenti più delicati della sua vita e che lui sostenne in numerose azioni sociali e di carità.

Alla morte di Riccardo Barilla (1947), le redini dell’azienda passarono a Pietro e al fratello Gianni (1917-2004). Dopo viaggi di studio negli Stati Uniti, i fratelli Barilla diedero all’azienda un’impronta industriale moderna: produzione di massa di buona qualità, confezioni sigillate, pubblicità, prezzo equilibrato.
Nel 1952 Pietro Barilla decise di sospendere la lavorazione del pane, per concentrarsi nella produzione della pasta: la conservabilità del prodotto consentiva uno sviluppo industriale e commerciale molto più interessante. Con la collaborazione di grafici come Erberto Carboni (1899-1984) e uomini di cultura come Pietro Bianchi (1909-1976), nel 1952 fu varata una moderna campagna di comunicazione per la quale la società ricevette la “Palma d’Oro della Pubblicità”.

Curioso e affascinato dal mondo della cultura, sostenne discretamente numerose iniziative: dal convegno sul cinema neorealista alla rivista di lettere ed arti “Palatina”, diretta da Attilio Bertolucci (1911-2000). La frequentazione di esponenti del mondo culturale parmense e italiano, lo portò, quasi naturalmente, ad intraprendere una collezione di arte moderna che volle collocare negli uffici e negli stabilimenti della Società.

Nel 1955 Pietro Barilla sposò Maria Maddalena Da Lisca (1935-), di Venezia. Dal loro matrimonio nacquero Guido (1958-), Luca (1960-), Paolo (1961-) ed Emanuela (1968-). Parallelamente allo sviluppo dell’azienda, Pietro Barilla dedicò particolare attenzione al “fattore umano”. La politica per il personale fece da sostegno alla costruzione di case per i dipendenti, alla costituzione del Fondo di Solidarietà Interno “Riccardo Barilla”, alla nascita del Gruppo Medaglie d’Oro.
Nel 1959 la Barilla produceva 4.000 quintali di pasta al giorno. L’azienda, ormai nelle prime posizioni in Italia nel mercato delle paste, si trasformò in Società per Azioni (1960); nacque la struttura organizzativa basata su una direzione generale e sette direzioni operative. Nel 1965 fu inaugurata la fabbrica per grissini e fette biscottate a Rubbiano di Solignano.

Nel 1968 Pietro Barilla veniva nominato Cavaliere del Lavoro. Nello stesso anno iniziava la costruzione a Pedrignano dello stabilimento per pasta più grande e tecnologicamente più avanzato del mondo.

Il 1971 è un anno chiave nella storia della Barilla. Pietro e il fratello Gianni, insieme alla guida dell’azienda, non condividono lo stesso orizzonte strategico. Sono anni difficili a causa di un contesto storico dominato da terrorismo, recessione e crisi petrolifere che determinano una forte crescita dei prezzi del grano duro e una riduzione drastica dei margini per le aziende pastarie. Pietro non ha i mezzi per rilevare il 50% di Gianni e la decisione è inevitabile: la Barilla viene venduta al colosso americano W.R. Grace. Sentiva di aver abbandonato la nave che gli era stata affidata. Così, dal giorno successivo la vendita e per tutti gli otto anni seguenti, il pensiero fisso di Pietro Barilla fu quello di come riprendersi l’azienda, facendo di tutto per realizzare questa impresa.
L’imprenditore ci prova una prima volta nel 1978 ma non riesce a mettere insieme le risorse necessarie ed esce deluso, letteralmente in lacrime, dagli uffici americani della Grace. Ci prova una seconda volta l’anno successivo. Un’operazione caldamente sconsigliata dal deus ex machina della finanza italiana Enrico Cuccia (1907-2000): “Cavalier Barilla, ho visto i conti e i numeri, non ne vale la pena”, al quale Pietro si era rivolto per primo sperando nel sostegno di Mediobanca. Fortunatamente mai previsione fu più sbagliata.

Nel 1979 l’offerta di riacquisizione di Pietro Barilla, che a 66 anni impegna ogni sua risorsa nell’impresa, va a buon fine e la Barilla torna ad essere italiana: un caso straordinario nel mondo dell’imprenditoria nazionale.
Pietro tornava così alla presidenza dell’azienda di famiglia e, dopo la nascita, nel 1976, del marchio Mulino Bianco, rilanciava in grande stile il ruolo centrale della pasta nella corretta alimentazione italiana.

Il 13 gennaio 1987 la città di Parma gli assegnava la medaglia d’oro del Premio Sant’Ilario, onorificenza conferita a chi con la propria attività, aveva contribuito a rendere migliore la vita dei singoli e della comunità o ad elevare il prestigio della città, distinguendosi nel campo delle arti, delle scienze, dello sport, dell’industria o della solidarietà.
Il 26 settembre 1987 Pietro veniva insignito della laurea honoris causa in Economia e Commercio dall’Università di Bologna e, l’anno seguente, la Società Barilla donava all’Università di Parma la sede didattica della nuova Facoltà di Ingegneria. I figli maggiori di Pietro, Guido e Luca, diventavano Vice Presidenti operativi della società nel 1989, anno in cui, con 2.070 miliardi di lire di fatturato, la Barilla era la prima azienda alimentare italiana con 27 stabilimenti, di cui due all’estero e 6.000 dipendenti. Tra il 1990 ed il 1992 veniva acquisita nel Gruppo Barilla la Società Pavesi. Il fatturato era di 3.330 miliardi di lire e i dipendenti erano 8.300.

In occasione dei suoi ottant’anni Pietro Barilla volle organizzare, presso la Fondazione Magnani Rocca, una esposizione delle opere più significative della sua collezione d’arte, perché tutti potessero goderne. «L’arte è una bellezza da condividere» amava ripetere e proprio questa passione aveva fatto nascere amicizie con giornalisti e intellettuali importanti come quelle, solo per citarne alcune, con Indro Montanelli (1909-2001), Valerio Zurlini (1926-1982) e Riccardo Muti (1941-). Ma anche con imprenditori straordinari come Enzo Ferrari (1898-1988).
Alla munificenza di Pietro Barilla si devono anche il restauro dello scalone monumentale di palazzo Rangoni, sede della Prefettura di Parma, le vetrate policrome della chiesa di Sant’Andrea Apostolo, disegnate da Carlo Mattioli (1911-1994), il restauro degli affreschi della chiesa di Santa Maria della Steccata e degli studi di Toscanini e di Boito presso il Conservatorio di Parma. Un nucleo importante della Biblioteca di Maria Luigia, da lui acquistato all’asta, verrà donato alla Biblioteca Palatina.

Pietro si spegneva nel sonno nella sua casa di Fraore la notte del 16 settembre 1993. Ultimo dono alla sua città il monumento alla Via Emilia, opera di Pietro Cascella (1921-2008), inaugurato in Piazzale Santa Croce il 13 gennaio 1994.
Al suo nome è stato intitolato (unitamente a quello del padre Riccardo) il viale ove sorgeva lo storico pastificio di Parma (dove oggi si trova il Barilla Center) e l’Ospedale dei Bambini, finanziato dalla Società Barilla e inaugurato nel 2013, nel centenario della sua nascita.
Pietro fu un collezionista sui generis: nella sua visione l’arte s’intrecciava con l’impresa e non era mai scollegata dal suo essere imprenditore, ma era funzionale all’idea di azienda ideale che perseguiva. La sede di Pedrignano ospita ancor oggi gran parte della sua collezione. Del resto in molte occasioni l’arte ha segnato i momenti memorabili dell’azienda: la scultura-piazza di Pietro Cascella (1921-2008), Campi di grano, è stata commissionata subito dopo che Barilla era tornata azienda di famiglia nel 1979. Così come il cavallo di bronzo di Mario Ceroli (1938-), è un omaggio alla prima generazione Barilla e ai tempi in cui i cavalli trainavano in Stazione i carri colmi di pasta. Per Pietro l’arte era sempre occasione di incontro e la lista delle amicizie da lui strette con gli artisti è lunga: da Giorgio Morandi (1890-1964) a Mino Maccari (1898-1989); da Marino Marini (1901-1980) a Giacomo Manzù (1908-1991); da Ennio Morlotti (1910-1992) a Renato Guttuso (1911-1987).

La figura di Pietro Barilla emerge con chiarezza come quella di un uomo innamorato della sua famiglia e del suo lavoro; un imprenditore illuminato che seppe creare la più grande industria pastaria del mondo e cambiare il modo di fare pubblicità, dialogando con artisti geniali; un mecenate appassionato che volle promuovere e sostenere opere di interesse collettivo per la propria comunità, grato e riconoscente per quanto aveva ricevuto.

 

Fonti e bibliografia

BELTRAME A., in Grandi di Parma. Bologna, Resto del Carlino, 1991, pp. 9-10.
Cento anni di associazionismo, 1997, p. 390
Gazzetta di Parma, 1993, 17 settembre p. 3.
LASAGNI Roberto, Dizionario dei Parmigiani. Parma, PPS, 1999, I, pp. 285-286.