L’architettura degli Autogrill Pavesi

L’architettura degli Autogrill Pavesi

Luca Monica

Quella che qui viene raccontata è la genesi della rete degli Autogrill in Italia, nata da un’idea di Mario Pavesi. Dal 28 febbraio 1977 Autogrill è il marchio che identifica le aree di ristoro e i ristoranti della Autogrill Spa, società nata dalla fusione delle attività autostradali di Pavesi, Motta e Alemagna. Oggi la Società Autogrill fa capo alla famiglia Benetton. 

Diffusione e variazione di una tipologia architettonica

Sebbene la costruzione della catena degli Autogrill Pavesi abbia rappresentato in Italia un fenomeno economico e sociale di una certa rilevanza, non deve passare inosservato che la storia dell’architettura contemporanea abbia trattato in modo molto marginale la descrizione di queste opere, magari in una riscoperta postmoderna di un generico “paesaggio” autostradale italiano, osservato più per le proprie implicazioni fenomenologiche che per l’appartenenza ai modi della costruzione della città attraverso l’architettura.
Di certo questi edifici erano distanti dalle ricerche più impegnate del Dopoguerra. Appena prima, nel clima della Ricostruzione, la tecnologia edilizia delle murature tradizionali veniva riconvertita in un linguaggio moderno, a tratti “neorealista”, specie nei primi quartieri residenziali INA-Casa, secondo caratteristiche tutte italiane di interpretazione del Movimento Moderno che sarebbe risultata famosa nel mondo, attraverso le architetture di quegli stessi architetti che erano maggiormente sperimentatori e anticonvenzionali già nel panorama culturale anteguerra: Albini, i BBPR (e gli scritti di Ernesto Nathan Rogers), Quaroni, Samonà, Gardella, Ridolfi, anche considerati nel clima dell’ampio coinvolgimento culturale nell’opera di un industriale impegnato quale Adriano Olivetti.
Lontano da questo panorama sorgono gli edifici di Angelo Bianchetti degli Autogrill Pavesi a ponte sulle autostrade italiane, nelle forme d’evasione e di fascinazione che il benessere economico e una idea di progresso collegato alla bellezza della velocità e al viaggiare in automobile portavano.
Tuttavia questi edifici meritano di essere osservati come opere d’arte, almeno per due ragioni. In primo luogo il gradiente tecnologico nell’esposizione delle travature, negli aggetti delle mensole, nelle leggere e trasparenti vetrate continue, negli esili telai metallici, ben disegnati a sostenere le insegne pubblicitarie, segue i criteri di una sperimentazione di forme e di telai strutturali ben dentro a una storia dell’architettura che fonda le proprie radici in una continuità del pensiero e dello “spirito del tempo” moderno più spregiudicato ed emotivo. In secondo luogo si coglie una proiezione territoriale dell’architettura, attratta dalle grandi dimensioni (geografiche e mercantili), e da una certa poetica delle “megastrutture”, che da lì a poco sarebbero diventate un tema compositivo abbastanza ricorrente, specialmente nei grandi concorsi per i centri direzionali di Torino (1962) e per la Sacca del Tronchetto a Venezia (1964), e internazionalmente reimmesse nella storia dell’architettura moderna dal celebre libro di Reiner Bahnam [1].
Come fenomeno, invece, le architetture a ponte degli Autogrill Pavesi si sono impresse nella memoria collettiva del paesaggio autostradale italiano, anche se la loro realizzazione è circoscritta a una dozzina di edifici nell’arco di circa dieci anni tra il 1959 e il 1972 in contemporanea con lo sviluppo della rete autostradale italiana.
Ancora oggi l’attraversare queste “architetture pubblicitarie”, più sfumate nei colori rispetto al paesaggio in seguito a un recente restiling, risveglia l’attenzione dell’affrettato viaggiatore, che le vede sorgere da grande distanza o comparire all’improvviso tra una sequenza di cavalcavia, e poi scomparire in un momento alle proprie spalle, lasciando impresso nella memoria l’idea di avere attraversato qualcosa di estremamente vitale, quasi fosse un brano di città. Per chi vi si fermava e sedeva ai tavolini affacciati sulle corsie dell’autostrada apparivano poi prospettive inconsuete e bellissime (soprattutto della campagna padana), vertiginosamente attratte dalla percezione dinamica dei veicoli.
Proprio per questa fascinazione per il paesaggio di un territorio moderno, la localizzazione degli Autogrill a ponte non aveva false ambizioni estetizzanti nella ricerca di una ambientazione paesaggisticamente compatibile o particolarmente suadente, anzi essi erano strategicamente disposti sul territorio secondo un disegno tutto coerente con una moderna strategia di mercato, che intravedeva nel “ristoro” dell’automobilista un nuovo grande settore commerciale e un canale di diffusione di nuovi prodotti alimentari.
Questa concezione autenticamente di mercato e di generi merceologici nuovi, perseguiva un sistema di oggetti moderni strettamente connessi con una nuova cultura industriale che allora si stava sviluppando.
Ma la vera innovazione era e doveva essere quella tipologica, nata tra l’architetto Bianchetti e l’imprenditore Pavesi probabilmente al tavolo del consiglio più che al tavolo da disegno, certamente in un momento di congiunzione tra una certa cultura industriale innovativa e aperta e una cultura architettonica che già prima della guerra aveva svolto originali esperienze e sperimentazioni nelle forme del Movimento Moderno, anche agli occhi di una cultura internazionale.
La diffusione degli Autogrill Pavesi si forma perciò a partire dalla prefigurazione di Mario Pavesi di un possibile mercato per una catena di punti di ristoro autostradali che consolidava la prima stazione di servizio a Novara sul tronco Torino-Milano. Questa strategia industriale, congiunta con le forme dell’architettura pubblicitaria di Angelo Bianchetti, realizzerà circa un centinaio di punti di ristoro (di cui una quarantina di veri e propri Autogrill) nell’arco di circa vent’anni, dal 1959 al 1978.
In una prima fase di formalizzazione, dato che non si può parlare di fasi temporali vere e proprie, i primi punti di ristoro sono laterali, a Lainate (Milano, 1958), a Ronco Scrivia (Genova, 1958) e a Varazze (Genova, 1960), con grandi arcate in acciaio dipinte di bianco a sostegno del logotipo, poste sopra a una struttura trasparente circolare che conteneva il bar e gli scaffali di vendita. Questi ancora seguivano la matrice architettonica del padiglione pubblicitario fieristico, ma con la sostanziale differenza di stagliarsi nel paesaggio agrario italiano di allora con una unicità di impianto sorprendente.
Evoluzione di questa disposizione asimmetrica, posta su un solo lato dell’autostrada e raggiungibile con un sottopasso dall’altra corsia, era la tipologia a cavalcavia, di cui il primo della catena Pavesi (e forse il primo nel mondo), sarà quello di Fiorenzuola d’Arda (Piacenza, 21 dicembre 1959).
Intorno al fenomeno della nascita e della diffusione delle stazioni di ristoro autostradali, pare esserci dunque un alone di primogenitura italiana, soprattutto per la definizione della tipologia a ponte e per una certa qualità dei sevizi offerti. Bianchetti stesso lo testimonia in un interessante resoconto di viaggio apparso su “Quattroruote” del 1960, che descrive la diffusione degli Autogrill osservata in viaggi compiuti negli Stati Uniti e in Germania e confrontati con la situazione italiana. Colpisce in questo scritto il riconoscimento di una tendenza contemporanea alla realizzazione di strutture simili, viene illustrata una stazione a ponte in progetto nell’Illinois per la catena Standard Motor Oil e viene esaltata l’alta qualità degli ambienti delle stazioni della catena Howard Johnson.

«Appreso che a Chicago gli architetti Rinford e Genther stanno realizzando una serie di nuovissimo modello, li abbiamo raggiunti in volo. Lavorano per la Pace Associates, che è uno studio di origine italiana, i due architetti, e le loro prime realizzazioni si stanno ultimando ad alcune decine di chilometri dalla metropoli: una serie di cinque bar-ristoranti. Assomigliano in linea generale, a quelli che sorgeranno lungo la nostra Autostrada del Sole.
Ne raggiungiamo in automobile uno già completo, a una cinquantina di chilometri da Chicago. Costruito a ponte sull’autostrada, con l’impiego di strutture prefabbricate di cemento, il posto di ristoro sembra da lontano un massiccio cavalcavia. Di notte con la luce che scintilla sulle pareti di cristallo levigato, fa pensare a un bastimento. Anche questa volta una segnaletica perfetta e un agile gioco di “quadrifogli” facilitano la clientela di passaggio: i “test” psicologici assicurano che la decisione di far tappa non impone all’automobilista il minimo sforzo di volontà. I costruttori hanno perfino provveduto, per evitare il disagio delle scale e degli ascensori, a rialzare tutta la zona dei parcheggi e dei piazzali. Si arriva con l’auto alla quota del “piano ristorante”. Ma quanto potrà costare, senza tener conto delle spese per i parcheggi, le piste, la segnaletica e tanti altri indispensabili costi accessori, uno di questi colossi? La spesa media informano i due architetti, è di circa un miliardo di lire. Poco meno di duecento milioni si spendono per le sorprendenti attrezzature di cucina, tutte d’acciaio inossidabile, che troveremo minuziosamente descritte in un capitolato di trecento pagine. Un vero e proprio trattato» [2].

Tra gli Autogrill a ponte, di poco più tardi, sarà la realizzazione dell’Abraham Lincoln Oasis, di David Haid, sull’autostrada Northern Illinois del 1967 circa, dalle eleganti e minimali geometrie di travi in acciaio e vetro e con il criterio delle rampe di accesso ai parcheggi per raggiungere la quota del ristorante. In Italia sono da segnalare le stazioni della catena Motta con i ponti a Cantagallo di Melchiorre Bega e a Limena di Pier Luigi Nervi.
La realizzazione degli Autogrill a ponte aumentava dunque le possibilità di accesso, ma la propria limitazione a eventuali crescite di utenze e rinnovo si mostrava forse troppo vincolante e costosa nel massiccio sviluppo che il traffico autostradale avrebbe avuto negli anni Ottanta, determinando di fatto l’esaurimento delle possibilità di questa interessantissima tipologia, come a suo tempo lo stesso Angelo Bianchetti avrebbe ricordato in un breve scritto del 1979, in clima di piena recessione e crisi energetica, sottolineando una situazione di paradossale inadeguatezza al mercato.

«[…] il costo di un ponte con tutti i suoi impianti è nettamente inferiore a quello di due Autogrill laterali, senza parlare del notevole risparmio sui costi di esercizio, sia per gli impianti che per il personale.
La lettura a distanza, poi, è molto più immediata di quella che offre un Autogrill laterale: non ci scordiamo che l’automobilista, mentre viaggia a 120-140 km/ora, deve decidere in pochi secondi se imboccare o no la pista di decelerazione.
Infine l’immagine pubblicitaria di un ponte è di per sé più efficace e di sicuro richiamo. […]. Oggi la situazione è mutata. L’enorme rialzo dei costi (il carburante, le spese d’esercizio dei mezzi) ha frenato il flusso del traffico, e ridotta la possibilità di spesa dell’utente.
Il costo di costruzione rispetto al 1972 è quasi quadruplicato, salendo alle stelle. Tutto ciò impone una revisione nella politica di investimento; oggi la tendenza non è più di costruire Autogrill nuovi, ma al massimo eventuali snack-bar collegati con la vicina stazione di servizio. Non è più pensabile di realizzare un ponte, se non in una supercollaudata area di servizio di grandissimo traffico, che garantisca un flusso costante e sostenuto di viaggiatori» [3].

Le numerose varianti formali di questi impianti a ponte, estendevano le possibilità segnaletiche (attraverso pennoni “impavesati” a festa come certe navi ormeggiate, o attraverso accrescimenti funzionali quali l’incorporazione di un motel). Quello di Novara (1962), che sostituiva la stazione precedente e che sarà il più grande realizzato, e di Osio (Bergamo, 1972), l’ultimo eseguito con tipologia a ponte, saranno uguali nelle linee e forse tra i più architettonicamente riusciti, mentre quello di Montepulciano (Siena, 1967), presenta una travata apparentemente sospesa e in aggetto in acciaio Corten di grande effetto. Infine quello di Nocera (Salerno, 1971), presenta una interessante combinazione con la funzione del motel, tentata, in progetto anche come ampliamento di quello di Novara, ma poi non realizzato. Gli altri a ponte sono a Sebino (Brescia, 1962), Feronia (Roma, 1964), Frascati (Roma, 1963), Soave (Verona, 1969), Rezzato Nord (Brescia, 1970).
Tuttavia alcune caratteristiche restavano costanti, quale una certa unicità formale e senso della completezza della costruzione (che si legge chiaramente nelle foto d’epoca, e oggi meno, per la frequente addizione di corpi bassi laterali per il Tourist Market e per i colori più attenuati), che rendeva l’edificio percepibile a tutto tondo, anche sulle testate, frequentemente coronate da una larga scala a sbalzo. Il trattamento cromatico delle tettoie frangisole in metallo (di colore rosso vivo) diventava poi il segno distintivo degli Autogrill Pavesi e insieme circoscriveva formalmente l’edificio stesso, mentre l’equilibrata collocazione delle poche insegne non entrava in conflitto, ma anzi si combinavano con la segnaletica dei distributori di benzina, vivendo anche di notte di luce propria. Inoltre alcuni distributori di benzina disegnati da Bianchetti, quale quello di Sebino per la Esso, si distinguevano per la elementarità e l’eleganza delle strutture, con alte insegne filiformi e piccoli elementi prismatici per le costruzioni.
L’interno poi era sorprendente, per il tipo di luce che filtrava riflessa dal basso e per la percezione continua della dimensione intera dello spazio interno, dovuta a una disposizione longitudinale dei banconi e al contenimento degli scaffali di vendita, consentendo la percezione dell’Autogrill come un tutt’uno animato da una vita propria nella molteplicità delle persone che vi entravano. L’allestimento comportava poi una riduzione degli aspetti strettamente comunicativi al semplice arredo dello spazio, con anche un senso giocoso nel collage disincantato e disinvolto di elementi barocchi e moderni quali il grande lampadario a gocce di vetro a Lainate apparso anche sulle pagine di “Life”, le frequenti pavimentazioni in piastrelle di Vietri, le gerle in vimini per gli espositori dei prodotti Pavesi, fino alla sintetica segnaletica interna che ricalcava quella stradale e alle linee essenziali dei banconi all’americana con sgabelli. Tutto fuorché una immagine coordinata, ma alla fine una ambientazione di grande coerenza espressiva, risolta caso per caso, solo attraverso l’architettura, senza apparenti preoccupazioni di integrazione estetica, se non, appunto, quella del collage d’avanguardia, che in effetti correva anche nel gusto della grafica pubblicitaria di quegli anni (Erberto Carboni soprattutto) e che proveniva, come vedremo, dalle sperimentazioni dell’architettura moderna tra le due guerre.
Infine una terza tipologia, realizzata in contemporanea a quelle a ponte, prevedeva il posto di ristoro laterale all’autostrada con una costruzione di una grande copertura a quattro falde in lamiera rossa, molto più adattabile dimensionalmente.
Accanto alla grande diffusione degli Autogrill Pavesi (Alivar-Pavesi), in Italia si sono sviluppate le catene di Autogrill Motta e Autobar Alemagna (ex-Unidal), scorporate dalle rispettive case madri il 28 febbraio 1977 e raggruppate in una unica società, Autogrill spa, che oggi gestisce tutti i punti di ristoro autostradali.

 

La tradizione sperimentale dell’“architettura pubblicitaria”

Le esperienze svolte da Angelo Bianchetti (nato nel 1911 e scomparso nel 1995) prima della Seconda Guerra sono interessantissime e rappresentano un antecedente molto significativo per comprendere le ragioni che porteranno poi alla lunga collaborazione con Pavesi. Laureatosi in architettura al Politecnico di Milano nel 1934, compie viaggi di studio in Germania, lavora a Berlino negli studi di Mies van der Rohe e dei fratelli Luckard, conosce Gropius e Breuer. In Italia lavora con Giuseppe Pagano ad alcuni progetti nel 1938 compiendo così un itinerario che attraversa alcuni tra i più significativi episodi dell’architettura moderna del nostro secolo, seguendo una tradizione di scambi internazionali allora molto praticata. Come progettista esegue, spesso insieme a Cesare Pea, una fortunata serie di architetture per allestimenti di mostre e padiglioni pubblicitari per le fiere, divenendo uno dei protagonisti di un tema costruttivo allora del tutto nuovo, quello delle architetture per le esposizioni, culturalmente molto importante e considerato nel panorama dell’architettura moderna internazionale. Un tema, questo, su cui si confronteranno in Italia i più importanti architetti, grafici e artisti del panorama culturale compreso tra le due guerre e soprattutto durante il fascismo, che in questo vedeva una propria modernità comunicativa, anche spregiudicatezza inventiva e disponibilità culturale insieme alla capacità di dare occasioni ai grandi gruppi industriali di promuovere una propria immagine moderna e cosmopolita (seppure autarchica), in Italia e all’estero, nelle grandi esposizioni internazionali.
L’architettura moderna italiana in quegli anni fu perciò capace di ricondurre le esigenze di propaganda dentro i canali di una storia dell’arte e dentro quei valori plastici e figurativi moralmente più attenti. E proprio in questo senso le possibilità di sperimentazione formale concesse dalle architetture delle esposizioni in quegli anni hanno fissato alcuni capisaldi di una poetica razionalista italiana liricamente intesa spesso mai più raggiunta.
La rivista “Casabella-Costruzioni”, diretta da Giuseppe Pagano, testimonierà puntualmente le principali esposizioni eseguite nel periodo eroico che va dal 1925 al 1940 e nelle quali comparirà spesso come autore di bellissimi allestimenti Angelo Bianchetti, insieme ad altri importanti giovani, da Erberto Carboni a Marcello Nizzoli, a Bruno Munari, allo studio Boggeri (che poi ritroveremo nel dopoguerra a lavorare per Barilla, Olivetti, Agip, …).
Di questi allestimenti basti solo ricordare i padiglioni di Edoardo Persico e Marcello Nizzoli all’Esposizione dell’Aeronautica italiana a Milano nel 1934, di Gio Ponti ed Erberto Carboni alla Mostra della stampa cattolica al Vaticano nel 1935, l’allestimento della Sala della Vittoria alla VI Triennale di Milano del 1936 di Nizzoli, Palanti, Persico, Fontana (già allora definita come “un’opera di rara, altissima poesia”), i padiglioni italiani alla fiera di Parigi del 1937 con interventi dei principali architetti italiani, il padiglione di Bianchetti e Pea e lo Studio Boggeri per l’Isotta Fraschini alla Fiera di Milano nel 1938, le luminose tensioni superficiali di Nizzoli e Bianchetti alla Mostra del tessile nazionale a Roma nel 1939, i padiglioni di Bianchetti e Pea per la Raion e per la Chatillon alla Fiera di Milano del 1939, formato da un esile telaio a tre ordini coperto da leggeri voltini, nelle forme di una sorta di tribuna d’onore trasparente e lirica in modi che solo il razionalismo italiano sapeva raggiungere.
Questi interventi per allestimenti temporanei congiungevano il linguaggio astratto e delle forme pure del razionalismo internazionale con una vena barocca espressa nel combinarsi di elementi scultorei e grafici, tendaggi ed elementi naturalistici narrativi (dalla scultura di Fontana alla Sala della Vittoria alla Triennale del 1936 alle insegne pubblicitarie dei padiglioni tessili) secondo una poetica del collage tutta particolare ed originale nel panorama dell’architettura moderna.
Importantissimo per comprendere la paradigmaticità di questo tema per la cultura architettonica moderna di allora è l’interessante scritto di Angelo Bianchetti e Cesare Pea del 1941, sul tema dell’Architettura pubblicitaria, fissa alcuni caratteri che verranno poi senz’altro ripresi nelle architetture per esposizioni del dopoguerra e porranno la premessa per le architetture pubblicitarie del paesaggio autostradale italiano.
Di questo scritto colpisce in primo luogo il concetto che queste architetture possano assolvere al compito di contribuire in positivo allo stagliarsi di un nuovo paesaggio urbano, già proiettato verso i tormenti di un territorio indefinito strutturato da quartieri fieristici e attrezzature sportive, parchi tematici, shopping center e nodi autostradali, a partire dall’occasione dell’allestimento pubblicitario architettonicamente inteso.
In secondo luogo che queste costruzioni si innestino in un sistema di mezzi di trasporto, non solo per garantire una elevata accessibilità ma anche per accentuare una percezione dinamica dell’insieme, e in questo senso il rapporto tra Autogrill a ponte e autostrada esaltano l’estetica cinematica.
In terzo luogo che l’architettura rinunci in parte a un aspetto edilizio per riscoprire altri valori e una nuova estetica del monumento, attraverso una combinazione di segnaletica, grafica e comunicazione visiva, che penetra anche all’interno, negli arredi, ricomponendo una unità delle arti applicate.

«Le Corbusier e M. Breuer realizzano le loro architetture pubblicitarie rifacendosi alle loro possibilità plastiche più che a quelle architettoniche. Una sciolta fantasia pittorica darà al progettista anche la possibilità di rinunciare a dare una veste compiutamente edilizia e formalmente immobile al proprio padiglione. Pensiamo che esso possa essere concepito in modo da apparire, con soluzioni sostanzialmente diverse, su di un’unica struttura. Il padiglione ideale dal punto di vista pubblicitario, sarebbe dunque quello composto di elementi fissi attinenti alle leggi della statica edilizia e offrenti nel contempo alla fantasia diverse possibilità di ordine pratico, realizzabili anche in tempi successivi. Dunque non una facciata architettonicamente definita anche se bella, ma un sistema di elementi e di campi in cui esercitare la fantasia del decoratore. In tal modo potrebbero svilupparsi a fondo le doti di un buon architetto decoratore: lo studio della struttura lo porterà ad intuizioni di ordine razionalmente architettonico, mentre la possibilità plastica lo porterà a giocare tali elementi con la massima libertà ed a realizzazioni di ordine puramente plastico. Dalla fusione di queste due possibilità nascerà la suggestione che l’opera pubblicitaria deve esercitare. Tutto ciò che la tecnica moderna dà in aiuto all’artista, i materiali nuovi, i sistemi di illuminazione, il cinematografo, gli impianti meccanici, possono concorrere a perfezionare e complicare l’opera che l’artista avrà concepito con la propria fantasia. Ma l’adozione di questi ultimi elementi fa parte di quelle cognizioni generiche di architetto che non interessano il nostro studio.
Invece il problema che nasce dall’accostamento dei vari padiglioni ed elementi pubblicitari di una Fiera od Esposizione forma tutto un capitolo di urbanistica pubblicitaria la cui regìa meriterebbe di essere studiata» [4].

 

L’architettura e il disegno di nuovi prodotti industriali in Italia nel Dopoguerra

La concezione industriale e del mercato avanzata, nel Dopoguerra italiano, per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta si ritrova senz’altro nell’area geografica compresa tra Milano e Torino, l’area del primo sviluppo autostradale, della moderna imprenditoria democratica della Olivetti, cosmopolita e culturalmente sensibile, e della Pavesi di Novara.
Non è certo un caso se la rivista “Comunità”, fondata da Adriano Olivetti si occupa in quegli anni, oltre che di architettura e soprattutto urbanistica, anche di sociologia (urbana, dei comportamenti di massa, della produzione industriale), pubblicando studi sulla pubblicità e inconscio, sull’organizzazione degli Shopping Center in America, sul paesaggio autostradale italiano, o sui consumi alimentari in Italia [5].
Temi questi che si affacciavano come dirompenti per gli imprenditori italiani che frequentavano le zone maggiormente industrializzate degli Stati Uniti (particolarmente nella West Coast) e in un certo senso forse praticabili anche in Italia da certi settori industriali più accorti e in grado svolgere investimenti per lo sviluppo.
Era senz’altro in questo contesto economico che la costruzione degli Autogrill Pavesi si doveva inserire.
L’idea della modernità e del benessere sociale che pervade l’estetica degli Autogrill Pavesi si basava su un prodotto alimentare completamente nuovo, i biscotti Pavesini e i Crackers, confezionati industrialmente come non mai prima, erano legati a comportamenti di vita e psicologie d’uso che si affacciavano allora per la prima volta, e di cui vi era la piena consapevolezza.
Ma per la conformazione delle stesse città italiane, in cui il quartiere residenziale Ina-Casa dell’intensivo inurbamento delle città del nord tendeva a un paesaggio ancora prossimo a quello della città compatta, gli shopping center allora erano una tipologia di vendita troppo radicale da proporsi, mentre l’Autogrill sull’autostrada poteva abbastanza bene essere interpretato in questo senso, come un punto di vendita di prodotti alimentari nuovi, industriali, diffuso sul territorio, in cui potere direttamente applicare senza intermediazioni strategie di mercato, promuovere una immagine moderna e cosmopolita.
Il rapporto tra imprenditoria e progettazione architettonica, tra Mario Pavesi e Angelo Bianchetti, ma anche il rapporto con altri intellettuali per altre forme di comunicazione più letterarie e marcatamente grafiche, non dovrebbe essere intesa come la colta costruzione di una corporate identity oramai necessaria a corrispondere a una quota di produzione di immagine che ogni attività industriale deve avere, ma come un qualcosa di più complesso e che affonda le radici in una specificità culturale dell’industria italiana (e che proprio con la raffinata opera di Adriano Olivetti raggiungerà il suo apice) di fare propri gli strumenti di comunicazione nel sistema di comportamenti di chi produce e di chi consuma. Non si tratta qui di sole operazioni di raffinato design o di stilizzazione di una immagine, quanto piuttosto della messa a punto di attrezzature strettamente connesse con la produzione e la diffusione dei prodotti, attrezzature nelle quali l’implicazione estetica prendeva un posto di rilievo.
Un parallelo abbastanza significativo nel coinvolgere l’architettura nei processi di comunicazione industriale avviene contemporaneamente negli Stati Uniti, negli anni Cinquanta e Sessanta, le grandi industrie allora di punta, quali la Ibm o la compagnia aerea Twa, per esempio, si rivolgevano anche a spregiudicati e innovativi architetti, quali Charles Eames (che montava elaborati filmati e multivisioni d’avanguardia), oppure Eero Saarinen (che realizzava fantasmagorici teatri per le esposizioni internazionali o animavano gli orizzonti degli aeroporti con emozionanti forme in cemento e cristallo) [6].
Queste aziende affidavano loro un compito di delega per la costruzione dell’immagine aziendale (secondo una cultura di conquista del nuovo che tuttora si ritrova), ma agivano su un terreno diverso, maggiormente determinato e strutturato imprenditorialmente, nel quale il bisogno estetico dell’oggetto d’uso, per esempio, era meno prioritario, anche se spesso raggiungeva risultati di qualità altissima. Ma in Italia era tutto diverso, il disegno di Marcello Nizzoli per la calcolatrice o di Carlo Scarpa per un negozio Olivetti, o di Erberto Carboni per le confezioni della pasta Barilla, o la pubblicità dei biscotti Pavesi scritta da Gianni Rodari come letteratura per l’infanzia, per esempio, era un fatto necessario alla nuova concezione dell’oggetto d’uso, e l’opera degli intellettuali in questo contesto era strumentale alla comprensione di nuovi prodotti industriali, in un paesaggio domestico e lavorativo ancora formato in parte da oggetti artigianali (e ancora oggi fortemente attratto dalle componenti di originalità e di personalità delle scelte anche estetiche).
Chi in Italia avrebbe comprato prodotti Pavesi, Barilla, Olivetti, per esempio, se un gruppo di intellettuali non avesse convertito confezioni di alimenti e macchine in una nuova cultura delle merci?


Nota bibliografica

Si ringrazia per la pazienza e la collaborazione l’architetto Jan Jacopo Bianchetti che conserva l’archivio di Angelo Bianchetti e ha concesso la riproduzione dei materiali fotografici, i disegni e le pubblicazioni relative agli Autogrill Pavesi.
Tra gli scritti di Angelo Bianchetti si segnala: A. Bianchetti, C. Pea, Architettura pubblicitaria, in “Casabella-Costruzioni”, n.159-160, 1941, numero monografico dedicato all’architettura delle esposizioni, con una ricca documentazione iconografica curata dagli stessi Bianchetti e Pea; A. Bianchetti, Le oasi dell’autostrada, in “Quattroruote”, n.1, gennaio 1960; A. Bianchetti, I ponti non convengono più, in “Modo”, n.18, aprile 1979.
Inoltre vale la pena citare: Italian luxury for export and those at home, too “Life” 26 settembre 1960; R. WEST, Italy: the new lean Bread of Eurocrats, “TheSunday Times”, 26 agosto 1962; C. MUNARI, Lo stile Pavesi, in “Linea Grafica”, n. 5, settembre-ottobre 1966, pp. 240-252; A. Colbertaldo, Quando si mangiava sopra i ponti, in “Modo”, n. 18, aprile 1979; M. BELLAVISTA, Uomo di marketing prima del marketing, in “Il Direttore Commerciale”, n. 7, 1988, pp. 16-21; B. Lemoine, I ponti-autogrill, in “Rassegna”, n.48, dicembre 1991.
Si segnalano ancora due testimonianze del fenomeno attuale dello sviluppo del paesaggio autostradale: P. DESIDERI, La città di latta. Favelas di lusso, Autogrill, svincoli stradali e antenne paraboliche, Genova, Costa e Nolan, 1997; P. CIORRA, Autogrill. Spazi e spiazzi per la società su gomma, in Attraversamenti. I nuovi territori dello spazio pubblico, a cura di P. DESIDERI e M. ILARDI, Genova, Costa e Nolan, 1997.

 

[1] R. Banham, Megastructure. Urban future of the recent past, Londra, Thames and Hudson, 1976, che peraltro non illustra mai questi edifici autostradali.
[2] A. BIANCHETTI, Le oasi dell’autostrada, in “Quattroruote”, n. 1, gennaio 1960.
[3] A. COLBERTALDO, Quando si mangiava sopra i ponti, in “Modo” n.18, aprile 1979.
[4] A. BIANCHETTI, C. PEA, Architettura pubblicitaria, in “Casabella-Costruzioni”, n. 159-160, 1941.
[5] A. CANONICI, Pubblicità ed inconscio, in “Comunità”, n.60, 1958; A. BAROLINI, L’organizzazione dei centri di vendita in America, in “Comunità”, n.67, 1959; R. BONELLI, Le autostrade in Italia, in “Comunità”, n.86, 1961; G. TIBALDI, I consumi alimentari in Italia, in “Comunità”, n.115, 1963.
[6] Eero Saarinen, Charles Eames, Padiglione Ibm alla Fiera mondiale di New York, 1964-65, bene descritta in Kevin Roche, Charles Eames, in “Zodiac”, n.11, 1994.

 GALLERIE FOTOGRAFICHE

Novara ponte (1950)

Struttura pubblicitaria sull’autostrada Torino-Milano nei pressi dell’Autogrill di Novara, 1952. Prima ancora di consolidarsi nei punti di ristoro, le spregiudicate forme della pubblicità si innestavano nel paesaggio delle opere stradali con lo stesso linguaggio dell’ingegneria, in questo caso con una struttura reticolare a ponte su un viadotto.

Novara (1950-1958)

Il primo Autogrill di Novara, 1953. Laterale all’unica corsia autostradale, ha consolidato il precedente punto di ristoro costruito nel 1950 e a motivo del sempre crescente traffico verrà a sua volta sostituito nel 1962 dall’edificio a ponte. L’elemento ricorrente dell’arcata riporta il tema pubblicitario dentro al linguaggio delle opere civili.

Studi (1954-1958)

Disegni di studio e modelli per punti di ristoro Pavesi ascrivibili alla seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento e legati alle realizzazioni degli anni immediatamente successivi. I temi compositivi della sperimentazione formale degli Auto-grill sono già tutti presenti negli studi iniziali, dall’uso del vetro per accentuare le trasparenze, all’impiego delle strutture leggere metalliche per sostenere alte insegne, alle bandiere a festa, agli slanci formali.

Lainate (1958)

Autogrill Villoresi a Lainate, Milano, 1959. La grande struttura metallica a sostegno dell’insegna delimita spazialmente il grande edificio circolare dell’Autogrill, trasparente e formato da un unico vano centrale.

Giovi (1958)

Autogrill Giovi a Ronco Scrivia, Genova, 1960. Del tutto simile all’Autogrill di Lainate, si distingue per la sperimentazione formale continua nella geometria della struttura metallica, qui composta da elementi lineari, mentre nel caso precedente erano ad arco, attraversata da tiranti metallici con decorazioni.

Fiorenzuola d’Arda (1959)

Autogrill Arda a Fiorenzuola d’Arda, Piacenza, 1959. Il primo edificio a ponte della catena Autogrill appariva nella prospettiva del paesaggio agrario italiano del Dopoguerra come un elemento unitario isolato e ben identificabile, secondo codici percettivi molto chiari, poi successivamente indeboliti dalla progressiva edificazione dei Tourist Market ai lati e dalle altre strutture di servizio, via via sempre più preminenti nella strategia commerciale. Le grandi scale a sbalzo metalliche, non più presenti, conferivano un aspetto dinamico alla percorrenza dei visitatori.

Varazze (1960)

Autogrill Piani D’Ivrea a Varazze, Genova, 1960. Anche i contesti ambientali rilevanti, l’effetto di sorpresa di un congegno costruito a servire due livelli stradali (dell’autostrada e della strada statale) non altera le misure del paesaggio costiero ligure.

Novara (1962)

Autogrill a Novara, 1962. Realizzato in sostituzione del precedente punto di ristoro laterale, è il più grande realizzato da Bianchetti; rappresenta un momento di maturità formale nell’evoluzione di queste strutture e formalmente è simile a quello che verrà realizzato ad Osio (Bergamo) nel 1972.

Sebino (1962)

Autogrill Sebino ed Ebrusco, Brescia, 1962. La localizzazione degli Autogrill spesso avveniva in aree di sosta eseguite senza stazioni di servizio. Tuttavia alcune pompe di rifornimento come questa di Sabino erano disegnate dallo stesso Angelo Bianchetti con rarefatte geometrie a sostegno delle grandi insegne.

Frascati (1963)

Autogrill a Frascati, Roma, 1963. Questo Autogrill è l’unico realizzato con i piazzali laterali sopraelevati per consentire un accesso diretto e senza dislivelli al piano del bar-ristorante sul cavalcavia, formando una sorta di trincea per il tracciato stradale.

Montepulciano (1967)

Autogrill a Montepulciano, Siena, 1967. Come ulteriore variante formale nel linguaggio dell’ingegneria delle grandi opere pubbliche, questa struttura è realizzata con una grande travata a vista in acciaio Corten, con sostegni asimmetrici alla quale sono appesi i due piani del bar e Tourist Market (in basso) e del ristorante (in alto), con i tavoli affacciati sulla strada.

Soave (1969)

Autogrill a Soave, Verona, 1969. Questa ulteriore variazione formale in uno degli ultimi Autogrill a ponte realizzati accentua, come in un piano immateriale, l’effetto delle insegne luminose pubblicitarie, nei modi e nel linguaggio caro alle avanguardie architettoniche europee degli anni Venti.

Autogrill in cartolina

A partire dagli anni Sessanta gli Autogrill divengono il soggetto di vivaci cartoline che gli automobilisti scrivono agli amici, quasi a suggellare il rito della sosta in un’epoca che inseguiva il mito della modernità. La cartolina sottolinea l’adesione sociale e diviene, a sua volta, straordinario strumento di promozione per la marca.

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