Il Piccolo Mugnaio Bianco (PMB)

Intervista a Grazia Nidasio
Mariagrazia Villa

Un ideale di tenerezza, simpatia e ottimismo. Nel 1982, la comunicazione pubblicitaria Mulino Bianco si arricchisce di un personaggio che conquisterà tutti i bambini italiani per quasi dieci anni: il Piccolo Mugnaio Bianco, protagonista di divertenti cortometraggi animati.
Viene ideato e disegnato nell’81 da una delle più importanti illustratrici italiane del Novecento, la matita con cui il fumetto inteso come letteratura per ragazzi ha toccato nel nostro paese vertici altissimi: Grazia Nidasio.
Milanese, ma residente a Certosa di Pavia, giornalista professionista, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera ed è stata collaboratrice e redattrice del leggendario “Corriere dei Piccoli”. Ha illustrato numerosi libri per ragazzi per diversi editori e ricevuto tantissimi premi in tutto il mondo. Suoi sono personaggi in cui intere generazioni di bambini si sono riconosciute, come Stefi, Valentina Mela Verde, Il Chierico Vagante o Dottor Oss. Oggi è illustratrice Mondadori, collabora alle Pagine della Cultura ed è vignettista del “Corriere della Sera” e di “Corriere Scuola”, scrive sceneggiature per cartoni animati educazionali e cura la realizzazione di sigle televisive animate, per RAI e Mediaset. Di recente, ha ideato, per l’amministrazione provinciale di Pavia, una serie di Guide per Ragazzi, dedicate al territorio.
“All’inizio degli anni Ottanta, la pubblicità Mulino Bianco la seguiva l’agenzia Troost, Campbell & Edweld, che aveva sede in via Borgonuovo a Milano; un giorno mi chiamò il dirigente, il signor Gorla, perché aveva notato il personaggio di Stefi sul ‘Corriere dei Piccoli’, e mi chiese – immagino per via del fatto che Stefi parlava spesso di merende – di pensare a un personaggio che fosse destinato al mondo dei bambini”, racconta Grazia Nidasio. “Ho ideato tre personaggi. Il primo, francamente, non me lo ricordo più: non deve avermi particolarmente colpito! Il secondo si chiamava Luca Merenda – all’epoca c’era, peraltro, un attore francese che aveva un nome simile –, un giovanotto bello e aitante, tipo James Bond, che svolgeva la sua attività di fotografo in Africa, Asia e America Meridionale, facendo safari di immagini a bordo della sua jeep. L’idea era che il ragazzo, mangiando sempre le merendine Mulino Bianco durante il lavoro, riuscisse a fare dei reportage straordinari. Nello spot, all’interno dell’animazione disegnata, avrebbe dovuto incastonarsi con naturalezza un vero e proprio documentario sugli animali, via via diverso a seconda della meta del nostro Luca Merenda. La terza idea era quella di un Mulino Bianco abitato da una mugnaia di nome Clementina, non particolarmente bella – sarebbe stato troppo facile fare la ‘sventola’ –, una ragazza semplice, un pochino cicciottella. Lei ignorava che, poco lontano dal suo Mulino, ne esisteva un secondo, però molto più piccolo, abitato da un nanetto che inventava le merendine per lei, perché ne era innamorato pazzo, e gliele donava. Lei, però, non lo vedeva perché era troppo piccolo e immaginava, quando trovava la merendina sul cuscino o sul tavolo, che il misterioso adoratore-donatore fosse chissà quale fusto. Se vogliamo, non era neanche tanto sveglia…”. 

Che tipo di rapporto aveva il Piccolo Mugnaio con Clementina?
“Era molto simile a quello che avevano i poeti del Dolce Stil Novo con l’amata: questa non li filava affatto, ma non per questo smettevano di andarla a cercare e di dedicarle poemi, canzoni, opere letterarie. Nella mia mente, il Piccolo Mugnaio Bianco doveva sempre cercare di conquistare Clementina, senza mai abbattersi: questo è anche un insegnamento di vita, a pensarci, perché ogni giorno ci dobbiamo conquistare le persone che amiamo…”.

Per il piccolo spasimante, infatti, l’invisibilità agli occhi dell’amata non sembrava un’esperienza così frustrante…
“In effetti, no. Il Piccolo Mugnaio Bianco, nome poi accorciato in Piemmebì nella sigla, era un creativo, un inventore, un entusiasta di natura, e si diceva sempre: sì, adesso va così, ma la prossima volta Clementina mi vedrà sicuramente! C’era sempre un aggancio ottimista, insomma, non perdeva mai le speranze. L’impianto della storia era sempre allegro. A un certo punto, poi, avevo anche studiato un personaggio delle dimensioni di Clementina, non ricordo più se un giardiniere o un lattaio, che invece si accorgeva di Piemmebì e gli diceva di tenere duro, perché prima o poi lei si sarebbe resa conto di lui. E a corollario dei due personaggi principali, avevo pure inventato una serie di animaletti, come il riccio, il grillo eccetera, anche se poi quest’idea non è stata sviluppata. Prima che la proposta del Piccolo Mugnaio Bianco e Clementina fosse accettata, è passata al vaglio di alcuni psicologi e sociologi di fama, che lavoravano come consulenti per Barilla. Uno di questi, che si chiamava – e si chiama tuttora! – Francesco Alberoni, disse che ai bambini non si poteva proporre per l’ennesima volta una storia d’amore. Poi… quando realizzò che il risvolto della mia storia non era affatto sdolcinato, ma umoristico, la accettò di buon grado”. 

A un certo punto, la figura di Clementina, da svagata paffutella che era, diventa una fanciulla magra e “sexy”. Come mai?
“Fu la società di animazione che decise il cambiamento, adducendo a motivazione il fatto che i bambini si lamentassero che il personaggio era troppo grasso. In realtà, non credo che sia stata farina del sacco dei bambini… In ogni modo, la mia intenzione originaria era che Clementina fosse una figura materna e un po’ ingenua, al di là di qualsiasi implicazione di tipo sessuale. L’aspetto di Clementina non aveva, in fondo, una grande importanza, il suo ruolo era soprattutto simbolico: era una stupidella, che non si accorgeva dell’esistenza del Piccolo Mugnaio”.

Oltre ad aver disegnato i personaggi della storia, ha anche curato l’animazione televisiva delle avventure di Piemmebì?
“No, ma ho collaborato con gli animatori. Una volta creato e delineato il personaggio in tutte le sue caratteristiche, preparavo gli story-board disegnati, usando varie tecniche a seconda dei casi, dalle tempere agli acquerelli, da cui la società d’animazione traeva poi il film. Si è creata un’ottima sinergia con la Quick Sand Production di Milano, di Walter Cavazzuti e Michel Fuzellier – autori peraltro del film d’animazione “La Gabbianella e il Gatto”, tratto dal racconto di Sepulveda. Insieme a loro, curavo il segno, l’ambientazione, la scenografia, gli effetti eccetera. Ciò che cercavamo era l’atmosfera di un vecchio Mulino che fosse lindo e creativo, un luogo dove qualunque bambino avrebbe voluto poter giocare. Mi sono trovata molto bene anche con la casa d’animazione successiva, la RDA70 – la stessa che ha prodotto “Joan Padan a la descoverta de le Americhe”, la versione animata della pièce teatrale da Dario Fo –, perché erano dei grandissimi professionisti”.

La sua collaborazione con Barilla si limitava ai rapporti con l’agenzia di pubblicità, o riguardava anche l’azienda?
“Collaboravo anche direttamente con l’azienda: una volta al mese ci si incontrava con la signora Cattani, persona straordinariamente sagace e sensibile, con un’intelligenza affilata come una lama. Andava diritta al sì e al no e questa è una qualità manageriale che ho sempre apprezzato: i creativi, di solito, debordano, e hanno bisogno di qualcuno che li argini! I contatti con le agenzie di pubblicità sono stati sempre molto positivi. Sia con la Troost che con la Young & Rubicam, che è subentrata qualche anno dopo, con la quale c’è stata una vera e propria esplosione creativa”. 

Al di là degli spot televisivi, c’è stata anche una ricerca di idee nuove attorno al mondo del Piccolo Mugnaio Bianco?
“Certo! Una continua ricerca. Sia sui soggetti delle storie, che sui possibili oggetti promozionali. Il mugnaino, nella sua Valle Felice, era circondato da tanti oggetti in miniatura: avevo perfino realizzato un modellino in scala reale del mulino in cui abitava, completo in ogni suo dettaglio… La miniaturizzazione penso sia sempre molto accattivante: io ho proprio il debole per le cose piccole, colleziono servizi da tè per bambole che sono microscopici! Mi venne anche l’idea di creare un merchandising di piccole cose in miniatura che potevano stare dentro al mulino di Piemmebì, anche se poi non si concretizzò. Altre idee, invece, furono realizzate e tutte assolutamente coerenti con l’immagine del marchio e il personaggio della storia. Ad esempio, le Sorprese in scatola, personalizzate con il disegno del Piccolo Mugnaio Bianco sulla confezione, che sostituirono quelle precedenti che ricordavano la comune scatola da fiammiferi. Alcuni degli oggettini contenuti all’interno delle scatole, furono creati proprio collegandosi a Piemmebì, come l’adesivo, il timbrino… Poi vennero i Barattolini delle Sorprese, sempre con il disegno del Piccolo Mugnaio Bianco che sfrecciava, ad esempio, a bordo di automobiline fantasiose e un po’ spaziali. In quegli anni, studiavo anche la possibilità di realizzare dei pupazzetti, con il nostro personaggio su una macchinina, alla guida di un piccolo aereo o su una moto d’acqua. Curavo il progetto, realizzavo il modello con il Das o la plastilina – a Brera ho fatto quattro anni di scultura con Messina: guardi come sono finita! – e poi lo proponevo all’Agenzia. Non solo io, ma tutto il team creativo partoriva sempre nuove idee: qualcuna ha trovato uno sbocco in azienda, altre purtroppo no. Per diverso tempo, furono stampati dei calendari dedicati al Piccolo Mugnaio Bianco con miei disegni, che uscivano in allegato a giornalini per bambini e settimanali per la famiglia: ogni mese, il nostro eroe, sempre di buon umore e speranzoso, consegnava una diversa merenda a Clementina che, regolarmente, non lo notava… Un calendario che ebbe particolare successo fu quello che il bambino poteva appendere alla parete della sua cameretta, per misurare via via quanto cresceva in altezza. Poi, nacquero anche delle storie a fumetti con Piemmebì, non disegnate da me, però, ma dagli illustratori dell’RDA70, i quali avevano così esagerato le proporzioni di Clementina da renderla una figura caricaturale. Nei miei disegni originari lei è una ragazzotta di campagna, ma abbastanza aggraziata, quella disegnata dagli animatori ha addirittura il doppio mento! Forse questo potrebbe spiegare l’esigenza di trasformarla, in seguito, in un personaggio più sensuale…”.

Ci furono idee per altri gadget?
“Sì. Idee da me proposte, non realizzate vuoi per mancanza d’opportunità vuoi per divergenza d’opinioni. Ad esempio, la T-shirt di cotone con un microchip nel taschino che, schiacciato, suonava un motivetto musicale; oppure, il Mulino Salvadanaio, che rispondeva ‘bravo!’ quando il bambino metteva un soldino; o la collezione di orologi in plastica giallo pastafrolla, che avevano nel quadrante il Piccolo Mugnaio Bianco a segnare il tempo con la pala e il braccio – sarebbe diventato un cult, credo. Poi, pensai anche a un piccolo mulino, sul modello casa di bambole, a grandezza reale, che si poteva scoperchiare dall’alto, con tutta la sua oggettistica, che funzionava grazie a una pila; a un’intera linea per la scuola, dalla cartella all’astuccio ai quaderni, con una macchia di cioccolato come decorazione, così che, se il bambino l’avesse macchiata, non sarebbe successo nulla – forse oggi una proposta come questa sarebbe stata realizzata dall’azienda, ma allora mi dissero che era un po’ troppo all’avanguardia per essere apprezzata… dalle mamme! Alla fine fu prodotta la serie legata alla scuola, ma con l’immagine di un paesaggio visto da Piemmebì sull’elicottero… Della linea delle stoviglie per la prima colazione, invece, che disegnai completa, fu realizzato soltanto il vassoio. Prodotti furono i tovagliolini da compleanno con Piemmebì, il peschereccio del Piccolo Mugnaio; la pila – ma non la lampada da libro che apparteneva alla stessa serie dedicata alla luce -; il Mulino nella mezza sfera, con la neve, la pioggia di fiori eccetera; le cartoline e la carta da lettera con l’effigie di Piemmebì con cui si rispondeva alle valanghe di lettere che i bambini spedivano al “Piccolo Mugnaio Bianco, Mulino della Valle Felice” – e che le Poste riuscivano comunque a recapitare in Barilla, con grande senso di poesia!”.

Progettò anche premi di dimensioni più grandi?
“Sì. Durante uno dei nostri frequenti brainstorming, pensai a oggetti più consistenti, come il Sacco del Mulino, su cui i bambini potevano dormire – idea ispirata sia all’abitudine dei mugnai di gettarsi sul sacco di grano per riposare, sia alla famosa poltrona Sacco dei designer De Pas, D’Urbino, Lomazzi, prodotta alla fine degli anni Sessanta. Poi, suggerii anche la realizzazione di una grande scatola delle sorprese, dove i piccoli potevano infilarsi per riposare, e un orso di peluche-sacco a pelo con un marsupio, nel quale il bambino si poteva sistemare a fare la nanna. Un oggetto di dimensioni discrete fu anche l’automobilina gonfiabile, un giocattolo che, una volta stanchi di giocare, si poteva riporre senza occupare troppo spazio in casa. Ma nessuno di questi oggetti fu mai realizzato”. 

Ci sono state proposte, che non hanno visto la luce, a cui lei è rimasta particolarmente legata?
“Eh, sì! Soprattutto quella della monobici. I bambini nelle grandi città, spesso, non hanno la bici perché non sanno dove metterla, una volta che arrivano a casa. Se ci fosse un mezzo che loro possono richiudere e portare con sé sull’ascensore, oppure, una volta giunti a scuola, infilare nello zaino, sarebbe l’ideale. Così, ho compiuto tutto uno studio per inventare questa monobici pieghevole con doppia ruota posteriore, dotata di tutti gli accessori, come il casco: silenziosa, piccola, agile e colorata. Insomma, poteva diventare la follia del momento e si poteva creare attorno a questo oggetto tutta una linea ciclistica a tema con magliette, berretti, scarpette, ed organizzare eventi come gare, corse… Un altro progetto cui sono particolarmente affezionata, anche se fuori dall’ambito della mia attività, è la proposta che feci di istituire un Museo dell’Arte Molitoria, dedicato alla civiltà del grano, acquistando un vero mulino ad acqua in provincia di Parma. In Inghilterra, avevo visitato un piccolo mulino che esiste nel giardino della casa dello scrittore Richard Kipling, accessibile ai bambini, ancora oggi funzionante: una vera delizia, di cui mi ero letteralmente innamorata! Nel Parmense, in un posto un po’ in miniatura, si sarebbe potuto costruire una sorta di Parco Giochi della Valle Felice: i bambini avrebbero potuto trovare tutti quegli attrezzi di un mulino che oggi non esistono più e, alla fine della visita, infilato il grembiule e il cappello di carta, avrebbero potuto imparare a fare il pane o i biscotti, aiutati da tecnici panificatori, a cuocerlo nel forno e, infine, mangiarselo! La Barilla mi rispose che l’idea era molto interessante, ma che non rientrava nei suoi programmi immediati. Penso che, se fossimo stati in America, avendo a disposizione tutta una mitologia completa del Piccolo Mugnaio Bianco, si sarebbe realizzato un intero parco a tema per bambini… Altra idea cui ero legata era il mensile da muro ‘Piemmebì’, che fu purtroppo stampato in un’unica tiratura. Era un giornale murale, come i primi apparsi nella storia, quelli degli antichi Romani, da appendere alla parete della camera o dell’aula scolastica, una sorta di poster rinnovabile che, però, si poteva anche leggere normalmente, ripiegandolo come una carta stradale. Non volevo il solito giornalino, leggi l’opuscolo della parrocchia, ma qualcosa d’originale. Sulla prima pagina avrebbe dovuto ospitare un fumetto dedicato alle avventure del Piccolo Mugnaio Bianco, mentre sul retro delle storie firmate da grandi autori del ‘Corriere dei Piccoli’, legate al mondo del mulino”. 

Studiò anche dei libri, in relazione alla figura di Piemmebì?
“Sicuro. Ma solo perché l’agenzia, a un certo punto, pensò di proporre dei libri per bambini. Personalmente, io sono contraria all’idea di dare dei libri veri e propri insieme ai prodotti, perché li ritengo meno appetibili, sempre che non siano libri-gadget. Per Mulino Bianco, abbiamo realizzato tanti di questi librini-gioco con protagonista il Piccolo Mugnaio Bianco, tipo ‘Chi ha paura del buio?’ per aiutare il bambino a superare le sue paure in modo divertente, o la serie con pagine a fisarmonica su tutti gli sport, tra cui ‘il lancio della carota’ in coincidenza con l’uscita delle merendine Camille, o quelli in cui, sfogliando le varie pagine velocemente, si ottiene una storia in movimento. Peraltro, apro una parentesi: anche il cartone animato del Coniglio che cerca la carota, realizzato nel 1988 dalla Young & Rubicam per il lancio delle Camille, fu costruito su miei disegni. Ma torniamo ai libri per bambini. Ho progettato la bozza di un libro dedicato a Piemmebì, che spiegava come era nato il personaggio, che purtroppo non fu mai pubblicato. Titolo: ‘Vita, sorte e miracoli di un Piccolo Mugnaio Bianco, Piemmebì per gli amici’. Il tono era volutamente spiritoso e conteneva, non solo la storia di Piemmebì, ma anche gli story-board dei filmati pubblicitari e alcune lettere inviate dai bambini. Un altro mio libro, invece, di cui avevo curato soggetto e grafica, ‘Il Piccolo Mugnaio Bianco in Inghilterra”, è stato realizzato, anche se in poche copie. Fu stampato nel 1984 in versione bilingue, con un piccolo dizionario e una mappa del Regno Unito in appendice, da Vincenzo Bona di Torino. La storia è questa: Clementina è andata a Londra a studiare l’inglese e Piemmebì decide di andarla a trovare. Parte con il suo piccolo aereo, delle dimensioni di un moscone, riesce a infilarsi nel bagagliaio di un aereo di linea e a giungere a destinazione. Arrivato, compie un viaggio all’interno del mondo inglese, preso per piccoli assaggi e sommi capi: incontra una talpa che abita sotto un campo da golf, un topino con bombetta che legge il Times nella city, Alice nel Paese delle Meraviglie e Peter Pan, beve la birra al pub, visita la Regina e il Principe Carlo che prendono il tè, ammira il Tesoro della Corona e va a trovare Sherlock Holmes. Alla fine, non trova Clementina perché è già tornata a casa e anche lui riparte per l’Italia”. 

Quando l’azienda decise nel 1989 di interrompere gli spot con il Piccolo Mugnaio Bianco, l’esperienza aveva ancora altro da dire, secondo lei, oppure si stava esaurendo?
“Naturalmente, come tutte le cose vive, anche le avventure di Piemmebì hanno avuto un’evoluzione, un arco di durata, tensione, climax, fino a iniziare la curva discendente. Può darsi che, a un bel momento, l’idea abbia mostrato una certa stanchezza, ma la mia sensazione è che il suo arco di vita non si fosse ancora del tutto concluso. Avevamo in serbo tante altre storie, gadget e attività promozionali…”.