La pubblicità sul punto vendita
Nei primi anni del secolo e nel periodo fra le due guerre la comunicazione commerciale, per un’azienda alimentare, era qualcosa di simile a una sfida.
La Barilla, sorta nel 1877 con il forno di Strada San Michele per opera di Pietro Senior e ampliatasi, a partire dal 1911, con lo stabilimento sorto appena fuori porta in viale Veneto sotto la guida dei figli Gualtiero e Riccardo, accettò questa sfida e le soluzioni trovate – in una situazione tanto diversa dall’attuale – sono particolarmente interessanti e vale la pena, anche nell’era della comunicazione satellitare, raccontare questa storia fatta di piccoli mezzi e di fantasia.
Vi era – allora – un punto cruciale da superare: la pasta, come diversi altri prodotti, era venduta sfusa. Come far divenire riconoscibile e memorabile un marchio in assenza della confezione?
Questi erano esattamente i termini della sfida. La soluzione stava, evidentemente, nel punto vendita. I negozi di allora venivano considerati “monomarca”, poiché commerciavano in esclusiva una sola marca di pasta. Per ottenere un risultato commerciale era essenziale conquistare il punto vendita; per ottenere risultati nella comunicazione era necessario impiegare il negozio come primo supporto, e il negoziante come primo ricevente del messaggio.
L’abbigliaggio del punto vendita divenne quindi il centro reale della comunicazione. In un negozio monomarca, il marchio si giocava la maggior parte delle sue possibilità: se il negozio vendeva pasta Barilla, ciò doveva risultare “pubblicitariamente”. A sua volta, il punto vendita riverberava il messaggio del marchio sul suo cliente: per questo troviamo in opera un vero e proprio sistema di merchandising, rivolto in prima battuta al titolare del negozio e in seconda al cliente, che attraverso il negozio riceveva le “promozioni” dell’ Azienda.
L’elenco dei mezzi è sorprendentemente lungo e variato e comprende calendari da muro, calendarietti da tasca, blocchetti per appunti, matite e temperini, segnaprezzi, cataloghi, specchietti da toeletta per signore e grandi specchi da negozio, marchi tridimensionali, cartelli, cartoline.
Ciò che legava quella notevole offerta era il marchio, che nella storia Barilla è stato per lunghi anni quello molto noto del garzone che versa l’uovo, cui si affiancherà, a partire dal 1926, il personaggio del “Cuoco volante”. Il primo emblema, la cui data di registrazione è il 1910, rientrava ancora nelle specifiche della Legge sui Marchi e Diritto d’Impresa, che richiedeva che il marchio fosse “parlante”: vale a dire esplicito e autosufficiente senza la verbalizzazione. Provvedimento reso necessario dall’alto numero di analfabeti della popolazione italiana. Oggi potremmo osservare che il marchio Barilla non era solo “parlante”, ma già pubblicitario, poiché enfatizzava in modi memorabili l’elemento distintivo dell’uovo che, per successive trasformazioni, rimane ancor oggi alla base del marchio dell’Azienda.