Ai confini dell’universo

di Emmanuel Grossi

Dopo sette anni densi di soddisfazioni, che avevano fatto entrare Barilla nell’immaginario collettivo come emblema della famiglia, la campagna “Dove c’è Barilla, c’è casa” aveva chiuso trionfalmente con la partecipazione straordinaria di Paul Newman nei panni di Babbo Natale. E in agenzia già si lavorava a nuove soluzioni narrative, in linea con i nuovi focus comunicativi. Quand’ecco che brilla l’idea di un ultimo colpo di coda: il binomio ormai inscindibile Barilla-focolare domestico, che già aveva travalicato i confini patrii giungendo nel cuore della Grande Madre Russia, avrebbe vinto la forza di gravità e si sarebbe proiettato nello spazio.

Racconta Franco Bellino, al tempo scriptwriter e capo ufficio cinema della Young & Rubicam, che in sinergia con il direttore creativo Gavino Sanna, nume tutelare della campagna, si era pensato a un lungo piano-sequenza: partendo dal viso di una mamma che ripensa con dolce nostalgia a un pranzo festoso con i propri bambini, l’inquadratura si sarebbe progressivamente allargata fino a svelare che la signora si trovava nell’abitacolo di un’astronave. E mentre il viaggio interstellare seguitava il suo corso, il ricordo dell’atmosfera familiare coronata dalla pasta rendeva “casa” anche quel puntino nel cosmo, sempre più piccolo e distante, alleggerendo il peso della lontananza dalle persone care.
Il film – come era nello stile di Barilla e di Young & Rubicam – sarebbe stato realizzato ai massimi livelli: ricorda ancora Franco di aver incassato la disponibilità di Mary Sean Young, la protagonista di Blade Runner, mentre la realizzazione sarebbe stata affidata al produttore tedesco di Le avventure del Barone di Munchausen (The Adventures of Baron Munchausen di Terry Gilliam) e al regista Renato Longi, che al lungometraggio aveva collaborato in fase preliminare come consulente per gli effetti speciali e che aveva già al proprio attivo lavori di portata internazionale (era stato anche aiuto di importanti registi inglesi e statunitensi), soprattutto improntati all’effettistica e la sperimentazione tecnica.

Mentre fervono trattative e preparativi, il colpo di scena: Gavino e la producer di fiducia Alessandra Ferrari partono per l’America per girare lo spot con un’altra produzione, un’altra troupe e uno script leggermente diverso. Non sono note le ragioni del cambio repentino: forse l’urgenza di presentare il film in Azienda, forse la necessità di contenere i costi, forse altre vicende contingenti.
Diverso il finale: la mamma, dopo essersi riguardata su un monitor il videomessaggio dei figlioletti che idealmente la attendono per il pranzo, anziché proseguire verso i confini dell’universo accende i motori dell’astronave e fa rotta verso la Terra. Una nuova declinazione, dunque, del “ritorno a casa” che, nell’accezione più contenuta di ricongiungimento familiare, era stato centrale fin dai primigeni spot Treno, Cadetti e Maternità e che riapparirà nella comunicazione Barilla nel 2000, con lo short di Barry Myers Reunion.

Ma il viaggio della mamma astronauta non approderà mai sugli schermi nazionali. Come da prassi, il film finalizzato fu mostrato preventivamente ad un ristretto campione di spettatori (la cosiddetta area test) per saggiarne le reazioni a caldo. Che però furono molto tiepide: il pubblico non riusciva a identificarsi e sentirsi pienamente coinvolto da una storia così distante dalla propria quotidianità.
Non è il primo caso di spot pensato, girato e mai trasmesso, reso pubblico solo oggi grazie all’opera di conservazione e divulgazione dell’Archivio Storico Barilla. Era già capitato con altri due soggetti della stessa campagna: Coppia separata del 1986 (mandato comunque in gara ai Cannes Lions) e Il posto del 1989 (liberamente ispirato all’omonimo film di Ermanno Olmi).
Ma ciò non deve stupire: negli anni Ottanta i tempi di realizzazione di uno short “importante” erano spesso molto lunghi e fra analisi di mercato, ideazione, sviluppo, preparazione, riprese e montaggio poteva passare anche più di un anno, mentre tutt’intorno il mondo correva a velocità supersonica e mille altri spot si affastellavano sugli schermi. Piuttosto che uscire con una campagna precocemente invecchiata o superata dall’attualità, era meglio tenerla in un cassetto e occupare gli spazi televisivi già acquistati con qualcosa di più semplice, foss’anche cotto e mangiato, ma pienamente “in target”.