Storia Voiello

Voiello: una storia di pasta e di qualità

Storia del premiato Antico Pastificio Giovanni Voiello
Torre Annunziata – Napoli

 

Alle origini della famiglia Voiello: Svizzera o Campania?

Recenti studi documentali hanno ricostruito le vicende legate al Pastificio di Giovanni Voiello e della sua famiglia cui, da memorie orali, venivano attribuite mitiche origini svizzere, peraltro mai documentate da elementi certi.
Grazie ad una approfondita ricerca genealogica compiuta da studiosi locali è emersa una serie di documenti inediti che hanno permesso di ricostruire in modo puntuale, sia le vicende della famiglia Voiello del ceppo di Torre Annunziata, sia gli spostamenti territoriali dei suoi esponenti di spicco.
Così la storia romantica (e improbabile) dello Svizzero di Torre Annunziata, giunto in Italia per costruire la ferrovia e innamoratosi della bellissima pastaia lascia il posto a generazioni di pastai che scelgono quotidianamente la qualità per distinguersi.

Prima dei Voiello: i Gaudiello

La nostra storia inizia a Bracigliano, un piccolo paesino nell’Agro-Nocerino-Sarnese, in cui alle soglie del Settecento nasce Emanuele Gaudiello, che possiamo considerare come il capostipite da cui parte, attraverso vari passaggi, trasferimenti ed errate trascrizioni anagrafiche, la dinastia Voiello.
Emanuele svolge una vita normale in questo paese vocato all’agricoltura e alla pastorizia. Sposa la compaesana Giovanna Testa, dalla cui unione nascerà nel 1742 Felice Pietro Antonio Guadiello. Quest’ultimo, nel 1763, sposerà Santa De Luca, originaria di Torre Annunziata (NA). I due si spostano a Torre Annunziata, tra il mare e le pendici del Vesuvio, dove è stata appena aperta la borbonica Real Fabbrica d’Armi, in cui Felice verrà impiegato come tecnico specializzato. Dal matrimonio nasceranno due figli: Teodoro Giuseppe Sabatino nel 1764 e Antonio Giovanni nel 1766.
Dalla consultazione degli atti di quegli anni emerge che, per un mero errore di scrittura, scompare per sempre il cognome Gaudiello sostituito da quello Vojello. L’artefice dell’errata attestazione è uno degli officianti della parrocchia dell’Ave Gratia Plena di Torre Annunziata, il reverendo Domenico Ammendola, che, scrivendo l’atto di Battesimo sulle carte del libro parrocchiale, tramuta il cognome di Teodoro Giuseppe Sabatino, secondo una sua personale interpretazione, da Gaudiello in Vojello. Cosa che si ripete anche nell’attestazione del battesimo del fratello Antonio Giovanni, sempre ad opera dello stesso sacerdote.
Teodoro Voiello sposa nel 1785 Rachele Liucci da cui avrà sette figli, quattro dei quali moriranno in tenera età. Dei superstiti, Felice Raffaele rispetterà la tradizione di famiglia lavorando nella Fabbrica d’armi, mentre Andrea Raffaele Antonio (1799-1829) trova occupazione nella produzione della pasta, un settore che in quegli stessi anni stava prendendo piede a Torre Annunziata e che già dagli inizi del Seicento aveva attirato l’attenzione del Governo vicereale, soprattutto per la forza idraulica presente in loco  sfruttata a scopo molitorio con l’ausilio di un canale fatto derivare dal fiume Sarno su progetto dell’architetto Domenico Fontana. Grazie a quell’opera idraulica, erano stati costruiti tre mulini per la macinazione dei grani destinati alla capitale del Regno, che avevano dato inizio all’attività molitoria e pastaria torrese, a cui Andrea aderirà fin da giovanissimo cogliendo le nuove opportunità offerte e sviluppando una brillante carriera.

Torre Annunziata e l’industria del pastificio

Fin dal Settecento Torre Annunziata era il centro economico di un comprensorio di paesi e cittadine ove divenne fiorente l’attività della pastificazione, “l’arte bianca”, come viene ancora chiamata in quella zona ristretta comprendente i comuni di Pagani, Castellammare, Cava dei Tirreni, Angri, Nocera, Gragnano e Scafati.
Per la verità la produzione di pasta essiccata nel napoletano aveva radici più antiche. Già nel XIII secolo Amalfi, come Genova e Palermo, produceva pasta essiccata per fornire cibo durevole agli equipaggi delle navi mercantili.
Ma era stato Ferdinando I a incoraggiare una produzione che per quei tempi poteva dirsi industriale. Le ragioni furono molte.
Innanzi tutto una ragione economica. Nel regno delle Due Sicilie si produceva dell’ottimo grano duro, in specie nella Capitanata (l’odierna Puglia), commercialmente non valorizzato al di fuori del regno, dove veniva consumato esclusivamente sotto forma di pane. I trasporti avvenivano via mare, grazie ad una cospicua flotta mercantile in grado di collegare i porti di Bari e Brindisi con quello di Torre Annunziata.
La seconda ragione era di tipo sociale. Fino ai tempi di Ferdinando I la pasta era un prodotto pregiato di limitato consumo. Gran parte della popolazione si alimentava di ortaggi, broccoli in particolare. “Mangiafoglia” venivano chiamati i napoletani con spregio. Questo tipo di alimentazione oltre a essere povera di valori nutritivi, rendeva inefficiente il sistema logistico che doveva provvedere al rifornimento di una città come Napoli che con i suoi 450.000 abitanti costituiva il più imponente concentramento urbanistico d’Europa. L’ampiezza del mercato richiedeva coltivazioni sempre più lontane e i costi dei trasporti crescevano al crescere delle distanze, per portare una derrata povera, acquosa e deperibile. La pasta invece, oltre ad avere maggiori proprietà nutritive, era durevole nel tempo e costituiva una derrata secca e ben più ricca.
L’industria della pastificazione che prese corpo nel comprensorio di Torre Annunziata si sviluppò rapidamente: la maggiore disponibilità di prodotto, la più diffusa tecnologia, l’adozione del torchio (o ingegno come veniva chiamato) e l’utilizzo di manodopera familiare fecero rapidamente abbassare i costi e la pasta secca cominciò ad avere una diffusione più vasta.
Torre Annunziata godeva di due privilegi: un vasto porto con alti fondali che permetteva l’attracco dei grandi velieri mercantili, e una fortunata esposizione alle periodiche alternanze delle brezze di mare e di terra. Umida e calda la prima. Asciutta e fredda come una staffilata la seconda.
Arriva così nel 1822 il matrimonio di Andrea Raffaele Antonio Vojello (1799-1829) con Maria Maddalena Ramirez da cui nasceranno quattro figli. Il primo è Teodoro (1822-1917) che, una volta cresciuto, finirà a lavorare nella Fabbrica d’Armi. Egli si troverà coinvolto in un lungo periodo di conflitti militari che porteranno negli anni Sessanta dell’Ottocento alla fine del Regno delle due Sicilie. Nel 1851 sposerà Rosa Carotenuto da cui avrà quattro figli tra cui Giovanni (1859- 1939). Nella seconda metà degli anni Sessanta dell’Ottocento, Teodoro decide di tornare a Torre Annunziata con la famiglia, dove l’attività molitoria e pastaria si è intanto ampiamente sviluppata occupando numerosa manodopera. Tuttavia, pur ricominciando come “maccaronaro”, quel suo impiego farà maturare in lui l’idea della grande impresa, che nascerà e verrà perseguita in seguito dal figlio Giovanni, seguendo le orme pionieristiche familiari impresse da Andrea già decenni prima.

L’Antico Pastificio Giovanni Voiello

Teodoro Voiello aveva ereditato dal padre il senso pratico degli affari. Era tenace e determinato e con il tempo l’attività prosperò. Nel 1877 i tempi erano maturi per pensare a un vero opificio.
La cosa importante era trovare il posto giusto, dove le brezze arrivassero morbide ma non spente. Un posto riparato ma non chiuso, soleggiato ma con momenti d’ombra, asciutto ma non arido. Per essere un buon pastaio a quei tempi non bastava conoscere i grani, saper fare l’impasto e la gramolatura, bisognava saper prevedere altrettanto bene le variazioni di umidità e di temperatura delle brezze.
Teodoro e il figlio Giovanni, che allora aveva 17 anni e naturalmente lavorava con il padre, cercarono il posto giusto. Finalmente lo trovarono: un vasto terreno in Contrada Maresca, nella parte settentrionale della città. Sarà lì che due anni più tardi, nel 1879, sorgerà quello che in futuro si sarebbe chiamato “Antico Pastificio Giovanni Voiello”.
Da allora in poi la storia e il mito di questo pastificio si identificherà con Giovanni. Sarà lui a conferire all’azienda e al prodotto quella precisa fisionomia di alta qualità pervenuta sino a noi.
Allora, con metodi produttivi così semplici, le variabili su cui intervenire per fare una pasta di qualità non erano poi tante. Anzi, di fondamentale, ce n’era solo una: la qualità dei grani. E Giovanni andò alla ricerca del meglio. E il meglio era costituito da un grano forte e tenace, che dava una semola bigia e una pasta di sorprendente scioltezza e tenuta. Era coltivato nelle terre grasse e nere dell’Ucraina, e prendeva il nome commerciale del porto d’imbarco sul Mar d’Azov che fu città natale di Cecov: Taganrog. Dite questo nome a un vecchio pastaio e gli vedrete inumidirsi gli occhi. Troppi miti e troppi ricordi sono legati a questo nome.
Gli unici a importare direttamente questo grano e a pastificare con esso erano i Voiello, oltre ad un pastificio di Pontedassio, nella Riviera di Ponente, presso Imperia, che possedeva una flotta propria.
Il viaggio dal Mar d’Azov all’Italia non era eccessivamente impegnativo, né lungo. Il più delle volte una settimana di navigazione bastava per coprire le 1600 miglia del percorso. I carichi di grano Taganrog arrivavano a Torre Annunziata una volta al mese. Nel 1917, il Taganrog scomparve, divelto e distrutto durante la Rivoluzione d’ottobre. Oggi, di quel grano non resta che il ricordo, tramandato come una leggenda antica.
Ormai il pastificio era condotto da Giovanni. Teodoro capì presto il valore di quel giovane e gli lasciò giudiziosamente spazio.
La pasta di Giovanni Voiello costituiva un punto di riferimento per la qualità e si fece conoscere in tutto il napoletano. L’aristocrazia e le personalità eminenti di Napoli erano clienti di Giovanni Voiello. Così come lo era Don Benedetto (sì, proprio lui, il filosofo Benedetto Croce) fin dal suo ritorno a Napoli nel 1892.
In quel tempo esistevano in Italia cinque tipi di pasta che, in ordine di qualità, erano chiamati Napoletana extra, Napoletana superiore, Napoletana comune, Locale superiore e Locale comune. Si differenziavano per la quantità di grano tenero contenuto. I grani duri che entravano nella miscela erano comuni grani italiani senza particolari pregi.
Giovanni Voiello, invece, pastificava con una miscela composta da parti uguali di Taganrog e Saragolla, grano pregiato delle Puglie. Il primo per dare forza e nerbo alla pasta. Il secondo per dare sapore e colore.

Tra due guerre

Il 15 marzo 1896 Giovanni, che a 37 anni era ancora celibe, incontrò al Teatro San Carlo, in occasione della Prima napoletana della Bohème, Concetta Manzo, figlia di Cosmo, il più ricco e importante commerciante di granaglie di Torre Annunziata. Fu un matrimonio felice, allietato dalla nascita di otto figli: due maschi, Attilio (1898-1980) e Teodoro (1906-1992), e sei femmine.
Nel 1910 – l’anno della cometa di Halley – il pastificio Voiello produceva 3.000 tonnellate di pasta. Cifra rispettabile, se si considera che era venduta soltanto sulla piazza di Napoli e solo a chi poteva permettersela.
Nuove macchine erano entrate in fabbrica: il meglio di quanto allora offrisse l’industria meccanica napoletana. Il pastificio passò indenne la crisi della Prima guerra mondiale.
Essendo ormai impossibile pastificare con il Taganrog a causa della sua scomparsa, si decise di passare al grano di qualità Senatore Cappelli miscelato al Saragolla. E anche in questa circostanza l’attenzione di Giovanni Voiello per la qualità non venne meno.
Alla stagione del raccolto partiva per le Puglie per scegliere il grano, girando tra i coltivatori. Ficcava la mano nei sacchi ed estraeva dal profondo un pugno di grano. Osservava con cura le mondiglie, le separava dal chicco con i denti e ne scrutava la frattura. Valutava la lucentezza, la trasparenza, il colore, la forma. Verificava che lungo il solco non vi fossero impurità. Sfregava con forza qualche chicco tra le dita e poi le annusava. Stava via anche un mese a saggiar grani. Ma quando ritornava la miglior produzione della Puglia era sua.
Sotto la spinta del figlio Attilio, Giovanni Voiello, cominciò a partecipare a qualche Fiera internazionale. Sorsero pure i primi concessionari a Torino e a Bergamo. Negli anni successivi si aggiunsero quelli di Milano, Brescia, Firenze e Genova. Poche piazze, ma tutte assai qualificate.
Teodoro imparò moltissimo dal padre, e quello che Giovanni non poté insegnargli, lo imparò dagli operai lavorando con loro. Diventò ben presto un tecnico pastaio provetto, gran conoscitore di grani e di processi produttivi. Pastai ben più anziani e con più consolidata esperienza spesso si rivolgevano a lui per consigli. Giovanni nel 1934, a 75 anni, ricevette la commenda nell’Ordine della Corona d’Italia e nel 1939 si spense serenamente.

Dall’espansione alla crisi

Nel 1926 quando il secondogenito Teodoro entrò in fabbrica dopo aver fatto il servizio militare, il pastificio produceva 5.000 tonnellate che diventeranno 6.000 nel 1930, la capacità massima.
Teodoro si sposò per primo nel 1936 e Attilio nel Quaranta, un anno dopo la morte del padre. E proprio sullo scadere degli anni Trenta tentarono il grande passo: l’acquisto del molino e pastificio La Stabiense di Castellammare di Stabia per intraprendervi l’attività molitoria e trasferirvi successivamente la produzione del vecchio stabilimento di Torre Annunziata, divenuto troppo piccolo e inefficiente.
Teodoro si occupò del completo riammodernamento delle macchine, che commissionò alle Officine Reggiane. L’impegno finanziario fu enorme, ma le banche non avevano difficoltà ad aprire linee di credito per i fratelli Voiello.
Ma il programma non si compì. Venne la guerra, e con la guerra la distruzione. I tedeschi in ritirata distrussero il macchinario installato da Teodoro, e bombe alleate caddero sul vecchio stabilimento di Torre Annunziata. Un disastro completo da cui i fratelli Voiello non si ripresero mai più.
Nel dopoguerra vendettero quello che restava de La Stabiense e con il ricavato ripararono il vecchio stabilimento bombardato. Il risarcimento per i danni di guerra verrà liquidato con grave ritardo e in misura irrisoria. Furono periodi bui. Di grano non ce n’era, e quel poco era scadente.
Negli anni Cinquanta le cose migliorarono. Ricomparve il grano e Voiello ripristinò la qualità d’un tempo. Ma qualcosa si era spezzato. Mancava la continuità generazionale. Attilio ebbe solo una figlia che si laureò in architettura, e Teodoro un solo figlio maschio, che sceglierà la professione di commercialista.
La produzione era crollata a 2.000 e poi a 1.000 tonnellate, ma la fama del nome, se possibile, si era rafforzata. Era diventata un mito. I processi produttivi erano rimasti giocoforza gli stessi di una volta. Il rinvenimento in sacchi di iuta, gli stessi operai che salivano e scendevano i tre piani di scale dello stabilimento. E a mangiarla quella pasta, si sentivano ancora i profumi e i sapori di un tempo.
L’ultima difficoltà fu costituita dal diffondersi negli anni Sessanta di nuove strutture distributive a grande superficie: i supermercati. Una miriade di piccoli imprenditori si trovarono all’improvviso a dover dialogare con professionisti degli acquisti alla ricerca di fornitori efficienti, sensibili alle esigenze di una società in rapido mutamento, aperti alle nuove forme di vendita. Prima ancora che uno scontro di interessi, fu una assoluta incomunicabilità.
Alcuni imprenditori seppero trasformarsi e adeguarsi al mutato assetto distributivo, ma la maggior parte abbandonò o si diede alla produzione per conto di terzi.
Attilio e Teodoro resistettero fin che poterono, senza accettare mai compromessi sulla qualità. Solo che la qualità non si poteva più vendere con i vecchi sistemi. Il mondo stava cambiando. Così, all’improvviso. E il mondo quando cambia non avverte mai prima.

L’inizio della ripresa

L’ancora di salvezza arrivò nel 1973. Proprio nel mezzo di una crisi economica che attanagliava il Paese. E arrivò da Parma. Fu l’incontro con Barilla, infatti, a segnare per Voiello l’inizio della ripresa.
L’azienda emiliana rilevò le quote societarie e subentrò nella gestione della società partenopea. Ma ne rispettò l’autonomia e l’indipendenza nei processi operativi. I fratelli Voiello restarono, in quegli anni, nel Consiglio d’amministrazione con le cariche di Presidente e Vicepresidente. Ma assistiti, nella cura del pastificio e nello sviluppo del marchio e dei prodotti, da un nuovo management giovane e motivato.
In casa Voiello era necessario un piano di ammodernamento: nei processi produttivi, nella comunicazione e nelle modalità di distribuzione della pasta.
Il mercato stava cambiando in fretta: l’Italia oscillava fra sviluppo e recessione. In queste condizioni di grande variabilità economica e sociale, la scelta vincente fu di continuare a puntare sulla qualità del prodotto. Qualità, però, che non fu lasciata sola. Fu conciliata con l’efficienza produttiva e con le tecniche emergenti del marketing, per sviluppare una sempre maggior fedeltà alla marca Voiello.
Anzitutto, fu acquisito e completato un nuovo stabilimento per la moderna produzione della pasta, sorto nel 1970 in località Marcianise, poco distante da Napoli. Qualche anno più tardi sarebbe diventato la nuova sede della società Antico Pastificio Giovanni Voiello.
Grazie agli importanti investimenti tecnologici si superò, nella seconda metà degli anni Settanta, la soglia fatidica di 10.000 tonnellate di pasta, prodotte e distribuite capillarmente in tutti i supermercati italiani.
La produzione fu “ridisegnata” e distribuita in modo più razionale, con linee dedicate e stabilimenti specializzati nella fabbricazione di famiglie di formati. Obiettivo: garantire l’offerta di un catalogo completo per lo storico pastificio, sempre nel rispetto della tradizione tramandata da Giovanni Voiello.
Anche la rete di vendita fu avvolta dal vento dell’innovazione. Si crearono moderne strutture di relazione con i clienti, in grado di confrontarsi con le catene di supermercati allora in forte sviluppo. Furono aperte altre concessionarie e uomini esperti affrontarono la nuova realtà distributiva. Ma, soprattutto, si lavorò a livello di immagine: venne “ricostruita” l’identità del brand Voiello, dando nuovo corpo alla sua struttura. Ben presto il marchio iniziò ad affermarsi, con l’aiuto della pubblicità, come sinonimo di pasta di qualità in tutt’Italia. Non a caso, i record produttivi e di vendita dell’azienda si rincorsero di anno in anno. Trainati, non solo da un ciclo economico di ripresa favorevole, ma anche e soprattutto dal diffuso apprezzamento della qualità Voiello.
Erano gli anni in cui la televisione entrava nelle case degli italiani, con trasmissioni culto come “Rischiatutto”, e contribuiva a creare un sentire comune, da Aosta ad Agrigento, attento alla marca come elemento di scelta nell’acquisto. La qualità intrinseca del prodotto, la fiducia verso l’azienda e il valore percepito erano rappresentati in efficaci claim, jingle e testimonial, che portavano il consumatore a scegliere sugli scaffali sempre più affollati dei moderni supermercati. La pubblicità era strutturata come un racconto. E il filo della storia sapeva coinvolgere e, soprattutto, prendere per mano al momento della spesa.
Venne studiato proprio in quegli anni il pacco cosiddetto Rigatino. Una confezione dalle eleganti coste blu verticali su sfondo bianco. Impeccabile. Come gli abiti gessati di manifattura sartoriale della miglior tradizione partenopea.
Si definì anche, con piccoli passaggi e affinamenti successivi, il nuovo logo Voiello. Al glorioso nome della pasta, si aggiunse l’icona della maschera di Pulcinella mangiamaccheroni, sull’inconfondibile panorama del Golfo di Napoli e del Vesuvio fumante. Un’immagine della Costiera da Gaeta ad Amalfi che, grazie alle sue condizioni climatiche ottimali per la realizzazione di un prodotto perfetto, rimaneva, nell’immaginario collettivo e nella fantasia degli estimatori, sinonimo della pasta italiana.
Nacque negli anni Settanta la collaborazione con la storica agenzia di pubblicità TBWA. Ai suoi creativi si deve l’imperituro claim Voiello: “Dal 1879 la Grande Pasta di Napoli”. Per quasi trent’anni avrebbe sintetizzato, a più riprese, l’eccellenza della tradizione pastaia Voiello.
Si rappresentò in più campagne e convention il privilegio di un catalogo costituito da ben 104 formati della tradizione, prodotti con i migliori grani e tutti amorevolmente trafilati al bronzo.
E nel 1978 arrivò sui periodici anche la prima campagna stampa nazionale: la pasta Voiello sbarcava fuori dai confini locali, pronta a conquistare il Paese. Si spiegò a tutte le famiglie italiane, non solo che a Napoli la pasta “è più importante della carne”, ma anche che quella di Voiello era una vera specialità: frutto di un grande rispetto verso la tradizione, una lunga esperienza e una sincera passione per il lavoro.
Sempre nel ’78, Voiello festeggiò a suo modo il compleanno del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Era il 25 settembre e gli auguri al presidente più amato dagli italiani, in visita a Napoli, arrivarono… con il fumo che saliva da una pipa di pasta, sulle pagine dei principali quotidiani nazionali.

Gli entusiasmanti anni Ottanta

Il nuovo decennio, baciato dalla ripresa economica del Paese, portò Voiello a ragionare in termini di progresso. A prestare sempre più attenzione alla scienza e alla tecnica dell’antica arte pastaia. La tensione scientifica al miglioramento qualitativo, l’ammodernamento delle linee nello stabilimento, l’efficienza della logistica in tutta la filiera produttiva, dal campo alla tavola, furono i tre cardini dello sviluppo.
Il rinnovamento, però, non fu in astratto. Si calò nella magia e nella purezza di un prodotto che continuava a esprimere il vero piacere di gustare la pasta. E che, negli edonistici anni Ottanta, poteva rispondere a quel desiderio di appagamento personale e di gratificazione sociale che sembrò contagiare tutti. Furono anni di entusiasmo e gioia di vivere, dove soddisfare il gusto e far star bene gli ospiti era l’imperativo.
Fu l’innovazione di prodotto a esprimere, in questo vitale scenario, una dei suoi punti di massima espressione. Per la prima volta, l’antica tradizione pastaia sposò la moderna tecnica del design. La sfida di mettere le mani in pasta la raccolse uno dei maestri del progetto italiano, Giorgetto Giugiaro (1938-). Piemontese, era già allora uno dei più noti car designer del mondo e lavorava per le più importanti industrie automobilistiche italiane e straniere.
Nel 1983, il progettista creò in esclusiva per Voiello un nuovo formato di pasta. Progettandolo interamente secondo quei canoni dell’eccellenza stilistica Made in Italy, invidiata dal mondo intero. Dopo numerosi e accurati studi, nacquero le Marille, una sorta di doppio rigatone alla rovescia, la cui forma sembrò essere affinata in una galleria del vento. Tant’è che si meritò il Brevetto n° 36216B83. “Il Cx bassissimo ne favorisce l’alta digeribilità”, “La morte sua è il sugo in alcantara” furono solo alcuni dei commenti più ingegneristicamente appassionati che vennero riportati dai molti giornali che parlarono del progetto. Un’assoluta novità. Quando si era mai visto un designer inventare un formato di pasta?
Il complimento più sincero alle Marille, esempio di pura tecnologia dell’estetica alimentare, arrivò proprio dal progettista: “Ho scoperto un mondo che mi è piaciuto e finalmente potrò dire che mi sono… mangiato la linea!”.
Gli anni Ottanta furono anche quelli in cui una comunicazione aggiornata e innovativa creò la moderna immagine Voiello. Prese allora quell’anima che ancora oggi riecheggia nella memoria di molti buongustai. Sorridente, sobria ma sensuale, ricca e generosa perché sicura della propria qualità intrinseca e consapevole della propria superiorità di sostanza.
L’investimento in comunicazione riuscì a consolidare la marca in un mercato che stava cambiando. Erano anni in cui la cultura della buona pasta andava rifondata e trasferita con l’aiuto dei nuovi media a un pubblico sempre più intrigato dal futuro e dalle mode. Guidato nelle sue scelte più dagli stimoli dell’advertising che dalle opinioni dei ricordi del passato. Nacque così una serie di preziosi contributi all’arte pastaia moderna. Pubblicazioni di poster, pagine e brochure pubblicitarie. Ma anche recensioni Voiello sulle riviste più lette da coloro che facevano “tendenza” nei consumi. Dal 1983, 23 composizioni artistiche di pasta, create dall’estro dell’agenzia RSCG di Milano, presero le forme più fantasiose, campeggiando sui cartelloni pubblicitari e i magazine nazionali.
Non poté mancare, naturalmente, la comunicazione televisiva. Per la prima volta, nel 1986, l’anno in cui l’Italia celebrò il 40° della Repubblica, la marca entrò nelle case di tutti gli italiani. E in modo ironico. Attraverso uno stizzito schizzo di sugo che il Signor Voiello gettava sulla camicia di chi non sapeva riconoscere la qualità superiore della sua pasta.
Da quel momento, la storia del pastificio e quella della Tv si fusero in un continuo intreccio. Per la grande pasta di Napoli fu un crescendo di notorietà. Nell’87 iniziò la collaborazione con uno dei testimonial più memorabili della marca Voiello: Marisa Laurito.
La simpatica showgirl partenopea siglò una serie di piacevoli e intelligenti spot, che miravano a fare cultura della pasta con ironia e passione. Raccontandone la lunga tradizione, le caratteristiche, i formati peculiari, l’abbinamento con i diversi sughi. In tutti gli spot della serie, la proclamazione del claim era affidata all’incisiva e inconfondibile voce di Riccardo Paladini (1925-1996), indimenticato lettore del primo Telegiornale RAI nazionale degli anni Cinquanta. Una voce che conferiva al messaggio “nella solennità del mandato, un’aura di ufficialità e di imparzialità” (Aldo Grasso, “Corriere della Sera” 1996), anche quando riferito a una marca di pasta.
In quegli anni non poterono mancare, per Voiello, anche le campagne promozionali di raccolta punti. In regalo, i famosi piatti ovali e le ciotole di porcellana. Un successo tra i consumatori: collezionavano uno dopo l’altro i bollini, ma con i bollini anche chili di buona pasta, per completare al più presto il tanto desiderato servizio d’autore.
Alla fine degli anni Ottanta, il pastificio si affermò fra i grandi protagonisti del mercato nazionale. Non solo rinforzò il già consistente radicamento storico in Campania, ma conquistò anche le preferenze delle famiglie italiane, in particolare nel Nord e Centro Italia.

I mitici anni Novanta

La filosofia di ricerca della qualità, lasciata in eredità da Giovanni Voiello, attraversò anche i grandi mutamenti epocali degli anni Novanta. Fu il decennio in cui arrivò in Italia il telefono cellulare e nacque l’Unione Europea. Ma, soprattutto, fece la sua comparsa, prima per pochi appassionati e tecnofili, poi nelle università e, infine, fra il grande pubblico, quel www che, insieme alla chiocciola delle e-mail, avrebbe cambiato radicalmente percezioni, usi, consumi e stili di vita della società.
Tecnologia e velocità, cambiamento e nuove mode influenzarono anche la spesa quotidiana, che avveniva sempre di più nei vasti centri commerciali spuntati nelle periferie delle metropoli, così come delle piccole città di provincia. La pasta, però, restava la regina nei consumi degli italiani e quella di qualità si impose anche nel periodo di particolare congiuntura negativa della prima metà del decennio.
All’avvento dei primi hard discount in Italia e ai conseguenti cambiamenti di scenario competitivo, Voiello rispose ribadendo la propria qualità superiore. Non solo. Fedele alla propria anima partenopea, solare e ottimista, avviò una comunicazione emozionale con messaggi che miravano a far superare le preoccupazioni del momento.
Marisa Laurito, dopo il culmine del successo celebrato con la vittoria dell’Oscar della Pubblicità, lasciò il testimone, dal 1992, alle intense emozioni cantate da Lucio Dalla.
Le sue note da brivido in Caruso diventarono il sottofondo artistico della “grande pasta di Napoli”, che ebbe il suo momento di massima intensità e visibilità nel famoso duetto Pavarotti-Dalla del 1992, durante il Pavarotti International ripreso da RAI 1.
Parlare del prodotto attraverso la Tv amplificò anche il successo delle storiche raccolte punti. A molte famiglie italiane furono regalate le famose Porcellane Voiello, che ancora oggi si trovano nelle dispense di mamme e nonne affezionate al taglia-e-incolla dei punti delle confezioni. Furono svariate forme di piatti, pirofile e oliere in fine ceramica bianca e di prezioso design, che si susseguirono di stagione in stagione nei vari cataloghi. Ancora una volta testimoniando l’alta qualità della pasta, anche negli omaggi agli estimatori più fedeli.
Un’altra importante strategia di promozione venne messa in campo – in senso non solo metaforico – da Voiello: la memorabile sponsorizzazione del Napoli Calcio dal 1991 fino al 1994. Fu il periodo in cui militarono in squadra giovani talenti quali Gianfranco Zola, Ciro Ferrara, Massimo Crippa, il portiere Giovanni Galli e, dal ’92, anche un esordiente difensore di nome Fabio Cannavaro. E sempre legate all’ambito calcistico furono le presenze del logo Voiello nelle seguite trasmissioni sportive di Rete 7.
Nel 1995 la comunicazione tornò a esaltare l’abilità dei maestri pastai, dunque, i requisiti di superiorità della pasta Voiello: grani pregiati, trafilatura al bronzo e porosità in superficie, così “Quando tocca il sugo, non lo lascia più”.
Intanto, cambiati gli scenari di mercato, con il pieno impatto della crisi dei consumi, le tradizionali raccolte punti vennero interrotte a favore di una maggiore convenienza nel prezzo d’acquisto per le famiglie italiane.
Nella seconda parte degli anni Novanta si registrò un riposizionamento della marca: il prodotto aveva subito contrazioni nelle quote di mercato e nelle preferenze delle famiglie, fino quasi a dimezzare il proprio valore storico. Fu per il 120° compleanno della nascita dello storico pastificio, nel 1999, che Voiello regalò a sé stessa un forte segnale di ripresa: un piano di rilancio per il nuovo millennio, subito premiato dall’attenzione dei consumatori.

Oltre 120 anni, e non dimostrarli

Trionfale. E sorretto da una strategia di crescita precisa e determinata, studiata nei minimi particolari e messa in pratica con passione. Ecco come fu l’ingresso di Voiello nel terzo millennio. Il pastificio voluto da Teodoro e dal figlio Giovanni nel lontano 1879 tornò a sottolineare come la sua pasta fosse da intenditori. Il rispetto per la propria storia e l’amore per il proprio lavoro, la cura verso ogni dettaglio e i principi dell’antica tradizione pastaia ne facevano un prodotto eccellente, adatto a esaltare i migliori piatti della cucina italiana.
Si ripresero, dunque, anche nelle campagne di comunicazione, le tre regole d’oro che servono a fare di una pasta un prodotto di qualità superiore: nascere dai migliori grani duri, essere trafilata al bronzo ed essiccare con pazienza. Per garantire quella ruvidità che cattura al meglio il sugo. Una pasta, insomma, non solo bella da vedere e piacevole da toccare, ma anche buona da gustare.
Cinquantasei formati, suddivisi fra Classici, Speciali e Sfiziosi, arricchirono il moderno catalogo del pastificio, mentre il vestito della confezione venne aggiornato, per renderlo ancora più raffinato. Adatto a una cravatta di Marinella, storico marchio dell’aristocrazia partenopea. E conforme alla moda del nuovo millennio che, dopo il prêt-à-porter degli anni Settanta, l’esagerazione stilistica degli Ottanta e la fusion dei Novanta, tornava al desiderio d’eleganza.
Raffinatezza, sì, ma senza dimenticare la cultura. Su ogni pacco si scelse di raccontare, per ogni singolo formato, la storia e le caratteristiche, completando le informazioni con la proposta di una ricetta specifica, adatta a celebrare il piacere unico delle diverse forme del gusto.
Si accompagnò a questo rilancio in grande stile, anche una nuova campagna televisiva nazionale, ideata dall’Agenzia Milano & Grey. Gli spot avevano per soggetto i singoli formati, e in particolare i tre eroi del gusto Voiello: Penne, Spaghetti e Trenette. E mostravano come il successo di un piatto regionale potesse dipendere da un’altra regione. Per alcune ricette tipiche di Umbria (Penne al Tartufo), Sicilia (Spaghetti alle Melanzane) e Liguria (Trenette al Pesto), l’ingrediente “segreto” indispensabile era proprio una pasta napoletana. Perché Voiello è “La pasta di chi se ne intende”, come recitava il claim.
Il ritorno alle vendite e alle quote di mercato degli anni d’oro dei primi Novanta non si fece attendere. Voiello festeggiò e celebrò il superamento dei 120 anni di attività con un’artistica terracotta policroma di Pulcinella mangiaspaghetti, realizzata a mano in esclusiva in 1.250 esemplari, numerati e firmati dall’artista napoletano Lello Esposito.
Forte della fiducia accordata dai consumatori, negli anni 2001-2002, quelli in cui arrivò l’euro, il pastificio napoletano decise di affrontare con più piglio il mercato. Da un lato, il nuovo posizionamento di prezzo della gamma Voiello, più conveniente per le persone, dall’altro, l’imponente rete di vendita che fece marciare a tappe forzate la produttività dello stabilimento, permisero di raggiungere e superare nel 2002 il record storico di pasta venduta. Oltre 32.500 tonnellate, solo in Italia, ossia 65 milioni di pacchi da mezzo chilo, con una quota storica del 4,5% a valore, certificati dalle rilevazioni indipendenti della società AC Nielsen.
Un risultato che per ora resta insuperato, anche se il target dei 30.000 tonnellate di pasta Voiello prodotti fu raggiunto per un paio d’anni.
Dal 2004 la comunicazione di nuovo si giocò la carta vincente di pasta Voiello: il suo gusto e la sua superiorità. Venne sviluppata dall’agenzia Nadler Larimer & Martinelli una innovativa campagna stampa, incentrata sui formati più intriganti di Voiello. Uno spettacolare piatto di pasta su sfondo nero presentava, con sensuale ricercatezza barocca, un raffinato universo di profumi che prendeva forma nella danza del fumo. “Più che una pasta, una filosofia di vita” era il messaggio di queste immagini preziose ed evocative. Ancora una volta, un riuscito omaggio all’arte pastaia e alla tradizione napoletana di Voiello.

Il nuovo pastificio Voiello

Anno di grande fermento, il 2005, in casa dell’Antico Pastificio Giovanni Voiello. Ci si è preparati al restyling del prodotto, che avrebbe visto la luce alla metà del 2006, proprio quando l’Italia vinceva ai Mondiali di calcio.
Anzitutto, si è portato a termine un lungo processo di selezione della materia prima. Si sono scelte le sementi di un frumento duro di qualità superiore, ad alto contenuto proteico e dal colore giallo dorato, che ha costituito, una volta seminato e raccolto, la materia prima d’eccellenza per la genesi della futura pasta: il grano della Riserva Voiello.
Poi, si è migliorato il processo produttivo. Si sono conclusi l’importante ristrutturazione e l’ammodernamento dello stabilimento e di numerose sue linee, adottando le più avanzate tecnologie di produzione della pasta, sempre nel rispetto dell’antica arte bianca.
È stata la combinazione di questi due fattori a generare la nascita della rinnovata pasta Voiello.
Per l’occasione, il prodotto ha anche sfoggiato un abito nuovo. Inedito, ma dal sapore antico: la confezione con base azzurra ricorda, infatti, la tradizionale carta da zucchero. E si è presentato anche con un nuovo logo. Sempre l’icona della pasta Voiello, Pulcinella e il Golfo di Napoli, ma resa più amabile e arrotondata.
Oltre 35 formati hanno costituito il rinnovato catalogo del pastificio Voiello. Qui si fanno notare per eleganza, raffinatezza e pregio le artistiche Specialità Napoletane: formati di pasta ispirati alla miglior tradizione partenopea, ora disponibili nella qualità superiore firmata Voiello. Paccheri, Schiaffoni, Tofe e Mafaldine spiccano, nella loro distinta confezione di carta, anche sugli scaffali più affollati dei supermercati. Per la bella presenza, anzitutto. Ma anche per l’aspetto invitante, da acquolina in bocca. Piccole sculture del gusto. Un vero e proprio trionfo dell’arte pastaia, per tutti gli amanti della buona tavola.
Il lancio della nuova Voiello è stato progettato con cura e seguito con attenzione. E ha trovato la sua miglior comunicazione nella campagna Tv Esperienza dei sensi. Un nuovo film che descrive le qualità superiori al tatto, alla vista, all’udito, ma soprattutto al palato, della rinnovata pasta Voiello, prodotta con il selezionato grano della Riserva.
Un successo, fin da subito. Gli estimatori della pasta italiana sanno riconoscere quando un prodotto è pensato e dedicato a loro. Non a caso, le vendite dal 2007 sono ritornate a salire verso traguardi importanti, sospinte dal diffondersi della percezione di una qualità superiore. Una corrispondenza d’amorosi sensi tra domanda di gusto e offerta capace di soddisfarlo nel migliore dei modi.
Sempre nel 2007, è stata posta un’altra pietra miliare nella storia del glorioso pastificio: sono nati i Sughi Voiello.
Il complemento ideale per la pasta è da sempre il pomodoro. Un matrimonio perfetto, che ha raccolto consensi fin dai vermicielli co’ le pommodore”, descritti dal napoletano Ippolito Cavalcanti, duca di Bonvicino, nella sua Cucina teorico-pratica, pubblicata nel 1839.
Ma il pomodoro, si sa, trova la sua maggior praticità d’utilizzo in forma di sugo, quand’è pronto ad accogliere i tuffi della miglior pasta, cotta al dente. E per essere un sugo da ricordare, occorre che la materia prima sia eccellente. Così, Voiello ha creato la sua nuova linea di condimenti per la pasta con un pomodoro unico, selezionato ancora una volta ad hoc: lo Scarpariello. Un nome che, già dal suono, richiama le sue origini napoletane e che, nel sugo, si traduce in qualità e dolcezza superiore. O’Sugo, com’è stato celebrato nello spot televisivo di lancio, si presenta, da solo, su un piedistallo, al pari di un capolavoro da ammirare. Ma soprattutto da gustare, accompagnato alla pasta Voiello che l’attende nel piatto.
Trovando alla pasta il giusto sposo, si è completata la gamma dei prodotti a marchio Voiello. Prodotti che ricordano, quando si gustano, l’origine dal grano e dal bronzo per la pasta e dal miglior pomodoro dolce per il sugo.
Da oltre 140 anni l’Antico Pastificio Giovanni Voiello continua la sua nobile missione: deliziare e rendere felici tutti gli amanti della buona tavola. Erede delle regole, della passione e dello spirito artigianale dell’arte bianca tramandata di generazione in generazione, punta al massimo risultato: l’eccellenza del gusto. E conferma che “il vero consiste nel fatto”, come sosteneva il filosofo napoletano Giambattista Vico. Voiello conosce la vera qualità. Proprio perché l’ha creata.