Il complesso industriale a Barriera Vittorio Emanuele: 1908-1942

di Luca Monica

Il complesso industriale Barilla di viale Veneto (oggi viale Barilla), attivo per tutto il secolo XX, dal 1908 al 2000, nel suo naturale avvicendarsi di addizioni e sostituzioni, seguendo le occasioni che gli sviluppi dell’azienda e dalla tecnica richiedevano, si è sostanzialmente formato integrando tra loro piccoli padiglioni a due o tre piani, diversamente interconnessi, fino a riempire, come tasselli di un mosaico, con corti coperte e scoperte, gran parte della superficie via via acquisita nel tempo. Anche se questo avvicendarsi si è sostenuto su una edificazione in gran parte occasionale, devono comunque essere riconosciuti alcuni episodi architettonicamente significativi, caratterizzanti l’impresa Barilla.

In primo luogo colpisce la permanenza, anche se per diversi gradi, della residenza della famiglia Barilla nel recinto della fabbrica. Perfino la costruzione, nel 1957, della casa a Fraore (nella bella campagna parmigiana), ad opera dell’architetto Luigi Vietti (1903-1999), non fermerà un ritorno della famiglia Barilla nell’antico perimetro dello stabilimento negli anni Settanta, in una palazzina eclettica acquisita in quegli anni.

Infatti, fin dall’origine del complesso insediatosi nel 1908, si ritrova una palazzina a due piani (al centro di tutte le future trasformazioni), che ospitava la residenza della famiglia Barilla e gli uffici, in seguito spostati nella casa costruita dall’architetto Karl Elsässer nel 1933, ai margini dell’area.

In secondo luogo colpisce una sorta di introversione che si innesta nel tessuto disordinato della periferia storica di Parma, dalla quale emergono solo le grandi insegne a caratteri dipinti, poste su fasce in muratura di cornice che sembrano vivere di una loro vita autonoma, determinandone un disegno più sfaccettato nell’insieme e orientato verso le vie di accesso principali. Una grafica segnaletica alla scala dell’architettura che raggiunge il suo apice dimensionale ed espressivo nella decorazione a grandi strisce bianche e rosse su alcune testate a Sud verso la via Emilia.

In realtà un orientamento specifico era dato dalla via Padre Lino (oggi via Marco Dall’Arpa) che dalla via Emilia Est conduceva alla porta di accesso della casa del 1908, determinandone una gerarchia interna imperniata su questo piccolo edificio. Gerarchia che resterà anche dopo il 1942, quando l’ingresso verrà spostato, ortogonalmente, su viale Veneto.

In terzo luogo, alla fine del ciclo costruttivo dell’intero complesso, intorno al 1940, sembra emergere soprattutto il disegno dei partiti architettonici in mattoni dell’architetto Camillo Uccelli (1874-1942), che di fatto era stato il protagonista di una linea figurativa e costruttiva tardoromanica originale, capace di caratterizzare numerosi edifici pubblici e religiosi a Parma, così come i molti sovralzi, completamenti e nuove fabbriche dello stabilimento Barilla, condotti tra il 1916 e il 1930. Qui Camillo Uccelli riporta il disegno delle sue cornici in mattoni, degli aggetti vibranti, delle fasce marcapiano, dei ritmi fitti delle finestrature, come un motivo continuo che si ritrova, angolo dopo angolo, nell’intrico delle facciate interne e nascoste, “nobili” nel partito architettonico anche nei più umili edifici di servizio, lasciati “al rustico”, secondo una tradizione costruttiva classica.

Come in un pezzo di città, organizzato intorno ad un crocevia che traeva origine dalla prima casa del 1908, il complesso della fabbrica Barilla negli anni Trenta del Novecento presentava una serie di sagome emergenti, più o meno architettonicamente studiate e caratterizzate, ma capaci di costituire fronti di facciata rivolti all’interno e interclusi nell’area. In realtà il complesso viveva di una vita interna continua, aperto ai cittadini la Domenica per le funzioni che si tenevano nel piccolo oratorio di Sant’Antonio e calato nella vita della comunità urbana di allora, come testimoniato dalla morte, presso lo stabilimento, del francescano Padre Lino Maupas nel 1924. In questo contesto, perciò, colpisce il fronte posteriore del pastificio del 1919, rivolto verso l’oratorio, su tre piani, composto da un ordine a fasce, con volte e finestre, che richiama in tono minore lo slancio verticale dell’ordine bramantesco delle facciate del Palazzo della Pilotta, ben visibile sul profilo della città. Ma anche il fronte disegnato da Camillo Uccelli nel 1923 per i nuovi forni è decisamente antiretorico, richiamando, con fitti pilastrini in mattoni e archi ribassati, la tecnica e il carattere edilizio de “l’arte di costruire” dell’antichità romana, dei depositi granari e delle costruzioni di servizio.

Più tardi, la delimitazione dei confini dell’area appare più netta, in seguito alle progressive acquisizioni dei terreni circostanti, ma senza per questo determinare una percezione esterna unitaria. La realizzazione nel 1930 del panificio, sempre di Uccelli, disegnato con un fronte più squadrato di cornici e fasce intonacate, avrebbe potuto costituire infatti un importante episodio nel definire i contorni e le facciate del complesso della fabbrica se solo non fosse stato così arretrato e nascosto.

Così, la raffinata palazzina per residenza e uffici costruita da Karl Elsässer nel 1933, ottenuta dalla trasformazione del precedente edificio della Casa di cura Monguidi e Vecchi, se ha determinato un primo vero affaccio del complesso verso la città, ha voluto rappresentare con caratteri molto familiari l’impresa Barilla. L’architetto di Stoccarda (una città in quegli anni molto rappresentativa dell’intreccio culturale tra impresa industriale tedesca e arti moderne), mantenendosi entro le linee di una tradizione figurativa dell’abitazione (tetti a falde, finestre come bucature, pareti portanti), si scostava dalle contemporanee esperienze d’avanguardia del razionalismo che proprio in quella città andavano allora maturando (coperture a terrazza, finestre a nastro, struttura a telaio). I fronti esterni hanno una tensione rigorosissima nel ritmo delle aperture, negli sfalsamenti tra le misure, nel sottile cornicione che conclude le ampie pareti. E pure l’interno presenta un raffinatissimo paesaggio di superfici levigate: in legno, nell’ufficio di Riccardo Barilla (nelle pareti e negli arredi); in onice nella scala interna; in alabastro e mosaico nelle stanze da bagno; nelle partizioni a piani verticali e orizzontali e negli arredi in legno della grande sala aperta destinata agli impiegati.

Dopo lo spostamento dell’ingresso lungo il viale Veneto, avvenuto nel 1942, la casa di Elsässer si trova così ad essere coinvolta nel fronte principale, senza per questo connotare rappresentativamente l’insieme. Risulterà infatti come un elemento appartato rispetto agli edifici retrostanti.

Questo assetto dell’intero complesso, non subirà sostanziali variazioni nel periodo che va dalla metà degli anni Trenta fino al dopoguerra.

In fondo, anche la realizzazione del nuovo stabilimento di Gian Luigi Giordani (1909-1977), del 1957, molto interessante come architettura, per il suo misterioso affaccio verso la città, conferma, nel suo andamento, il tracciato originario, ricalcando gli edifici preesistenti nelle alternanze e nelle introversioni delle facciate, quasi a voler sostituire integralmente, parte dopo parte, il vecchio insediamento.